Vestire e abitare: un paradosso alpino

27 febbraio 2014

L’architettura alpina, si sa, esercita un grande fascino. La casa in montagna è da sempre il “nido”, il rifugio in cui l’elitaria borghesia per prima, e la classe media dopo di lei, hanno cristallizzato i loro sogni di evasione dall’orizzonte urbano.
Il dibattito su come costruire in montagna è altresì acceso. Innovatori e conservatori si confrontano da decenni su quali siano le modalità più corrette per intervenire in un contesto così ricco e affascinante. Ma parlando dei luoghi comuni e degli stereotipi del mondo alpino c’è un paradosso che appare sempre più evidente: quello dello scollamento quasi totale tra il vestiario di chi va in montagna e la sua casa.

Se è vero che, come qualcuno scrisse, habitus e habitare hanno un legame semantico, e cioè che sia possibile individuare una relazione forte tra il concetto di dare riparo al corpo e allo stesso tempo vestirlo, così non sembra essere per l’ambiente alpino di oggi. Mai come ora la discrasia tra l’evoluzione del vestiario per la montagna e l’architettura sembra essere importante.
A tal proposito è sufficiente osservare, in una qualsiasi domenica primaverile, coloro che si accingono a partire per un’escursione impegnativa o anche solamente per una breve ciaspolata finalizzata a stuzzicare l’appetito.

Ciò che salterà subito all’occhio è la sempre più grande diffusione di equipaggiamento outdoor di ultima generazione: giacche gusci in goretex multistrato, WindStopper, ActiVent, scarponi ultraleggeri, bastoncini d’ordinanza (sdoganati definitivamente con la singolare pratica del nordic walking), per non dimenticare gli innumerevoli tessuti in microfibra: capilene della Patagonia, Meraklon, CoolMax, TransTex, Vaporwick, Acquator, Micotex, ecc. Insomma l’escursionista medio degli anni duemila è high-tech. Basta camicioni a quadri, basta blue jeans, niente più fiaschetta di barbera e toma, solo barrette e bevande multivitaminiche nelle apposite borracce integrate nello zaino da trail.
Ma se il vestiario deve rispondere ad esigenze estetiche dichiaratamente “contemporanee”, la casa (che sia abitazione per il week end, trattoria o bed & breakfast) deve invece essere “Tradizionale” con la T maiuscola, sia dentro che fuori: legno, pietra, tetto a due falde, balconi fioriti, tovaglie a quadrettoni, tende in pizzo, luce soffusa. I neomontanari sono estremamente scettici sull’innovazione in architettura. Tolte alcune licenze per quanto riguarda l’apparato tecnologico (fotovoltaico, solare termico, coibentazione, ecc.), difficilmente l’innovazione tipologica e architettonica è ben accetta. Niente sperimentazioni stilistiche, niente rielaborazioni moderniste, nessuna variazione di linguaggio, niente architettura contemporanea, anche se di qualità.
La casa nelle Alpi, come si legge sovente nei settimanali di glamour, deve sapere di antico, serve per stare bene, per sentirsi sicuri, avvolti, protetti, è un luogo «dove è possibile rilassarsi, ritrovare se stessi e ricaricare le batterie» (Marinella Vaula – rivista Images). La casa di montagna è dunque un luogo che ha una funzione ben precisa e per questo deve rispondere a delle caratteristiche formali ben definite.
Il perché di questa reticenza nei confronti della modernità in architettura si spiega dunque con la necessità (più urbana che alpina) di vivere in un ambiente rassicurante dal gusto retrò, in un luogo in cui il tempo scorre lentamente, da contrapporre all’alienazione e alla spersonificazione della vita cittadina. O ancora con l’incapacità (non solo alpina) della nostra società di progettare un domani diverso e dunque, ahimè, il segno di un profondo senso di paura e insicurezza: «Quando si deve creare un mondo, si può cercare di immaginare cosa potrebbe succedere nel futuro oppure si può prendere il meglio dal passato…» (Peter Weir – The Truman Show).
Roberto Dini

Commenti: 1 commento

  1. Beppe Dematteis scrive:

    molto interessante l’accostamento vestiario-abitazione. Insieme al cibo sono considerate condizioni basilari per sopravvivere, ma mentre il vestiario non si camuffa e il cibo, anche in montagna, si apre all’innovazioine, nella casa l’innovazione riguarda solo la componente tecnico-funzionale (dal cemento armato al telecomando del riscaldamento) mentre la componente estetico-simbolica sembra non riesca ad allontanarsi da un tradizionale nostalgico. Forse perché per noi andare in montagna significa viaggiare indietro nel tempo alla ricerca di un paradiso perduto che almeno nell’ambiente uterino della casa ci fa piacere ritrovare.

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