Vecchie architetture e nuovi turisti

30 aprile 2013

I “nuovi” turisti, si fanno oggi portatori di uno sguardo disincantato verso il mondo alpino che non crede più alle facili illusioni del folklore e delle tradizioni reinventate. Il turista che frequenta oggi la montagna predilige e ricerca luoghi “autentici” in cui trovare percorsi di vita alternativi a quelli urbani e in cui fare esperienze diversificate con una spiccata consapevolezza nel decifrare ciò che si trova davanti.
Ecco allora che anche l’architettura diventa “autentica” quando è in grado – a partire dalle culture locali, dalla tradizione, dal paesaggio – di superare lo stereotipo alpino per essere semplicemente se stessa, non eliminando il passato (quello vero) ma non nascondendo neppure le esigenze attuali di chi sulle Alpi ha scelto di continuare a vivere.
Il tema del recupero del patrimonio architettonico esistente in chiave ricettiva può dunque essere un modo per intercettare da un lato le esigenze del turista attento e dall’altro quelle delle comunità locali che rimettono così in gioco il proprio patrimonio di edifici rurali abbandonati o sottoutilizzati.
È in questa direzione che nelle Alpi occidentali stanno andando i sempre più numerosi interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio con l’obiettivo di riconvertire vecchie stalle e fienili in piccole strutture ricettive.
È il caso del progetto di recupero di una locanda realizzato recentemente a Frassino da Amùn di Barbara Martino ed Enrica Paseri, studio di architettura della Val Varaita.

L’edificio, testimone di modalità costruttive e insediative locali consolidatesi nel tempo, si trova nel nucleo centrale della borgata denominato “La Vila”, in corrispondenza di via Vecchia. Il progetto di recupero valorizza quelli che sono i tratti salienti dell’edificio esistente: la corte interna, il locale adibito a stalla con una piccola volta a botte, la cantina con  il pozzo, la grande stalla con una caratteristica volta a botte unghiata interamente realizzata in pietra.

Le esigenze della committenza erano quelle di avere uno spazio da dedicare alla loro attività di ristorazione e uno spazio da poter dedicare eventualmente ad attività ricettiva. Ecco allora che la scelta naturale è stata quella di destinare lo spazio della stalla per ospitare la sala ristorante, lavorando sull’illuminazione, e di dedicare all’attività ricettiva la corte interna, e cioè quella parte dell’edificio che già aveva avuto una funzione di carattere collettivo.
La filosofia che ha guidato il progetto è evidente nella modalità con cui sono stati accuratamente recuperati gli elementi notevoli che caratterizzavano l’edificio: è stata riportata alla luce un’intera pavimentazione in lastre di pietra che era nascosta al di sotto di un parquet dalla scarsa qualità, così come sono stati recuperati e riutilizzati i travi in larice dei solai e assiti di diverse essenze (larice e castagno) utilizzati per restaurare le scale interne. In corso d’opera si è valutata anche la possibilità di restaurare alcuni serramenti o particolari lignei presenti nell’edificio come il grande portone e la monofora in pietra rinvenuta vicino all’ingresso.
All’interno si è voluto preservare la finitura a intonaco di porzioni di murature nelle quali sono messe in rilievo finiture secondo una tecnica molto antica, mentre sulla facciata esterna è stata ricostituita la bordatura delle aperture a intonaco a base di calce naturale e si è lavorato con un intonaco dalla consistenza rustica e granulometria fine per integrarsi il più possibile con l’esistente.
Roberto Dini e Mattia Giusiano

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