Scelte di vita

2 aprile 2016

La prima puntata del nostro viaggio attraverso i Luoghi della rete di turismo responsabile Sweet Mountains cercherà di capire cosa ha spinto tante persone diverse a intraprendere questa avventura. Quali sono le strade e i mille bivi della vita che hanno condotto persone diverse per formazione, storie di vita e estrazione sociale a entrare a far parte del glorioso gruppo dei “Custodi della montagna”, una realtà che fa della sua eterogeneità una ricchezza. Perché proprio come i nostri territori alpini, ogni gestore, ogni visita, ogni soggiorno è diverso dall’altro, e ogni volta per ospiti e ospitanti è un’entusiasmante avventura ricca di nuove scoperte.

Gli entusiasti autoctoni: ci sono gli entusiasti della terra natia, che dopo esperienze formative o lavorative altrove decidono che il loro avvenire sarà sempre più legato all’ambiente in cui vivono. Come Roby Boulard, mitica guida alpina della Val Pellice, che da quasi trent’anni gestisce il rifugio Willy Jerwis nella Conca del Pra, a 1700 metri sopra Bobbio Pellice, via d’accesso al Queyras. «E’ andata che alla fine degli anni ‘70 avevo una bellissima ragazza, che oggi è mia moglie, e il sedile dell’auto non reclinabile. E tutti i weekend salivamo su al rifugio per goderci la nostra intimità. Con o senza clienti», scherza Roby. In realtà la sua è stata una lenta presa di coscienza delle opportunità offerte dal suo territorio, e dopo una breve parentesi da operaio, è uscito dalla fabbrica diventando prima guida alpina e poi gestore di rifugio, due lavori compatibili e, anzi, che si compensano tra loro e che poco alla volta son cresciuti fino a diventare un vero mestiere, con tanto di stipendio a fine mese. «La mia grossa soddisfazione è che dal Jervis sono passate per scelta o per caso tantissime persone che oggi sono diventati dei colleghi». Come Sylvie e Massimo, gestori del Rifugio Selleries nel cuore del Parco Regionale Orsiera Rocciavré, sui 2000 metri dell’Alpe Selleries, sopra Roure in Val Chisone. «Abbiamo fatto tutti e due l’alberghiero di Pinerolo e poi pur potendo scegliere abbiamo scelto di non andare lavorare sulle piste o a Rimini ma di valorizzare il nostro territorio», racconta Massimo all’interno dell’accogliente rifugio, all’ombra di un camoscio imbalsamato. «Abbiamo scelto di stare qui perché ci sentiamo più liberi, più vivi, più padroni delle nostre vite», incalza Sylvie da dietro il bancone del bar. E poi c’è chi l’opportunità l’aveva sotto casa e ha saputo coglierla, come Giuliano di Prali, in Val Germanasca, che cinque anni fa ha aperto l’azienda agrituristica Edelweiss in borgata Pomieri, a poca distanza dalla famosa seggiovia dei 13 laghi, aperta in estate per gli sciatori e in inverno per i mountainbikers. «Il nostro progetto funziona bene, sia in inverno che in estate. E con l’accoglienza dei turisti, l’attività agricola e le bestie possiamo permetterci di rimanere a vivere nel nostro comune montano senza dover scendere in cerca di lavoro». Stesso discorso per Danila, nata e cresciuta in Frazione Castel del Bosco di Roure, in Val Chisone, che dopo aver intrapreso la carriera da geometra, e poi aver aperto un’agenzia di viaggi oggi ha ristrutturato e aperto la casa vacanze La Peiro Douco con le due sorelle, dove oltre ad accogliere una clientela italiana ed estera ormai affezionata offrono prodotti e buona gastronomia locale nella bottega al piano terreno: «la soddisfazione più grande per noi è vedere gli ospiti che si interessano al nostro territorio, chiedono, fanno domande, si fanno accompagnare».

I nuovi montanari: ma purtroppo non sempre le valli hanno forze endogene per far ripartire il territorio, perché lo spopolamento delle montagne piemontesi è stato impietoso e capita di visitare antiche borgate che ormai hanno raggiunto il punto di non ritorno. E’ in questi casi che entrano in gioco i nuovi montanari, persone capaci di vedere con occhi nuovi le potenzialità dei luoghi che i nativi avevano abbandonato, in un periodo in cui sembrava non avessero più nessun valore. E’ il caso di Giorgio del Puy di San Damiano Macra, in val Maira, che con la moglie Marta ha abbandonato la città per ricostruire letteralmente una borgata abbandonata. Filosofo e traduttore dal russo lui, medico di base lei, hanno poco alla volta lasciato le loro professioni per impegnarsi nella creazione dell’Azienda agricola Lo Puy, con allevamento e produzione di formaggi di capra. «Non ci interessava venire a vivere qui e magari pendolare sulla città tutti i giorni. Ci siamo creati un lavoro qui, al Puy». Tanto che oggi il piccolo centro, ormai rivitalizzato, con due famiglie con figli residenti, è diventato un punto di riferimento per quanti cercano un rapporto vero con il territorio alpino, con incontri, concerti, presentazione di libri e tanta convivialità. Un piccolo “miracolo a San Damiano…”. E l’ultima operazione di Marta e Giorgio è stata la realizzazione dell’agriturismo La Chabrochanto, con annesse camere in affitto, per tutti gli interessati alla condivisione della loro avventura. Altro nuovo montanaro è sicuramente Ferruccio, figlio d’arte, che con la compagna Natalia ha rilevato il rifugio realizzato dal padre Mattia alla Fontana del Thures, a 1700 metri nell’omonima frazione di Cesana, in Val di Susa. Era una borgata semi abbandonata, con architetture uniche e tetti in legno che rischiavano di scomparire. Ma l’assiduo lavoro del padre prima e del figlio ora, che ha aggiunto al rifugio un’Azienda agricola con campi di artemisia, genepy e canapa sativa legata il progetto “I Sentieri della canapa” dell’Associazione CanapaValleSusa, hanno contribuito a rivitalizzarlo. «Non riuscivo più a vivere in città. Torino rimane il ricordo degli anni dell’università, l’impegno politico e sociale, le esperienze giovanili. Poi però ognuno ha preso la sua strada. E la mia è stata quella della montagna. Perché qui mi sento più libero e il sistema cittadino non mi sembra naturale: con le otto ore lavorative vissute come in un comparto a sé». E si, perché come spiega Natalia cullando il neonato Miro: «In montagna non stacchi mai, vita e lavoro sono un tutt’uno, ma la contropartita è che hai molte altre libertà e un impagabile legame con la terra». E poi c’è Marco, che vive a Barge, nei pressi della Valle Po, e si divide tra il lavoro partime in banca a Torino e il B&B Il bosco delle terre cotte. Se fosse per lui la scelta radicale l’avrebbe già fatta da tempo, abbandonando la città perché, come spiega «io sono un appassionato di natura e ne sento la necessita, ho bisogno del contatto fisico con l’ambiente», ma fino a che la sua impresa di turismo responsabile non riuscirà a fornirgli il sufficiente sostegno economico si vede costretto ad accettare il compromesso. E poi d’altro canto la pluriattività fa parte da sempre della storia dei montanari, vecchi o nuovi che siano. Marco da quando vive a Barge è un animatore infaticabile, dal recupero delle vigne e dei sentieri alla promozione delle reti che promuovono il turismo responsabile nelle valli del Monviso. «Ad un certo punto io e la mia compagna Silvia abbiamo sentito la necessità di creare delle camere per poter condividere la nostra passione e sensibilità verso il nostro territorio».

Ex viaggiatori radicati: infine c’è chi ha molto viaggiato, ha visto il mondo in lungo e in largo e ha deciso di mettere radici proprio qui, nelle uniche e splendide valli piemontesi. Paola e Luca, nati rispettivamente a Torino e a Trento, si sono conosciuti in India, hanno viaggiato a lungo tra l’Europa e l’Asia, e alla fine hanno messo radici in località Payer, sopra Luserna San Giovanni, in Valle Pellice. E’ nato così il b&b Casa Payer, una cascina di pietra ristrutturata con la passione per la bioedilizia: castagno di valle, cocciopesto di Piasco, poco cemento proprio come le case in terra cruda viste in India, capaci di sfruttare al meglio il calore del sole, l’isolante vegetale e, nel loro caso, la legna raccolta nel bosco adiacente e l’acqua piovana convogliata nei serbatoi di raccolta. Insomma Paola e Luca hanno percorso tutte le strade conosciute per poter essere più leggeri possibile nei confronti dell’ambiente alpino. «Abbiamo girato il mondo nel tentativo di effettuare un viaggio indietro nel tempo, alla ricerca di qualcosa che dove eravamo nati non esisteva più. Poi la nostra India l’abbiamo trovata qui, in questi boschi, affascinati da questa casa “ai bordi del mondo”». Dove accolgono con calore gli ospiti che vogliono condividere con loro i tentativi di limitare l’impronta ecologica. Anche Silvia, con il compagno spagnolo Josè Antonio, dopo aver svolto vari lavori e vissuto per anni all’estero, oggi vive nella Borgata di Ostana in Valle Po, dove gestisce con il socio e guida alpina Silvio il Rifugio Galaberna. «Abbiamo presentato il progetto all’amministrazione comunale per la gestione del rifugio e nel giro di 15 giorni ce lo hanno affidato. Abbiamo deciso di accettare, di lasciare tutto e cambiare vita». Un vero salto nel buio, una sfida, con un progetto di gestione non solo stagionale, ma protratto lungo tutto l’anno con l’ambizione di concorrere al disegno di ripopolamento della borgata. Sfida vinta in prima persona, grazie alla nascita del loro terzo figlio, il primo a Ostana dopo 28 anni che non si sentivamo più piangere un bambino.
To be continued…
Maurizio Dematteis

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