Periferia per sempre?

13 ottobre 2010

Si tiene in questi giorni (14-16 ottobre) a Semmering, in Austria, il congresso annuale della Cipra, la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi. Il titolo del convegno può lasciare sconfortati o fiduciosi, a scelta: “Le Alpi in mutamento. Aree periferiche tra abbandono e speranza”. Come garantire le minime condizioni di sopravvivenza degli abitanti della montagna?, si chiedono gli organizzatori. Poi scendono nello specifico: «Che cosa succede se l’autobus non passa, se in paese non c’è più la scuola, se la bottega e l’ufficio postale chiudono i battenti, i campi vengono abbandonati a sé stessi e invecchiare nel proprio paese diventa sfida impossibile? Sono molte le regioni alpine periferiche che si affacciano allo stesso amaro destino: il loro futuro si fa ogni giorno più incerto».
Certo le vallate piemontesi non sfuggono alla fotografia, anche se non esiste una valle uguale all’altra e la ricchezza delle Alpi consiste proprio nella loro diversità. Purtroppo l’idea grigia della periferia alberga in molti abitanti delle nostre montagne, che invidiano i privilegi veri o presunti dei cittadini e si sentono abbandonati dal palazzo, dalla televisione, da tutti. «Sovente si fa fatica a trovare il quarto per una partita a carte!» sintetizza Ezio Donadio, assessore al Comune di Castelmagno in alta Valle Grana, e la stessa metafora vale per alcuni villaggi delle valli del Pinerolese, del Torinese e del Canavese, soprattutto ora che il turismo estivo è un ricordo, e all’autunno seguirà l’inverno, e per la primavera bisognerà aspettare maggio, se va bene.
Un recente studio dell’Ente Italiano della Montagna calcola che su una superficie montana di 13.754,9 chilometri quadrati, più di metà del territorio regionale, la popolazione ammonti a 865.290 abitanti, che sono meno di quelli di Torino e non raggiungono il 20 per cento della popolazione regionale. Qui sta la prima debolezza della montagna, perché non si vota in base al territorio ma alle persone, e non importa se un comune poco abitato e a corto di servizi deve amministrare fette ragguardevoli di boschi, sentieri e terreni a rischio, nemmeno in una regione che si trova “al pie’ del monte”. I comuni montani piemontesi hanno un indice di vecchiaia del 190,3% a fronte di una media nazionale del 131,4%, e il tasso di crescita naturale è negativo. Come dire che ci sono molti più vecchi che bambini. La curva demografica diventa positiva, qualche volta, perché giovani italiani o extracomunitari scelgono la strada della montagna per scelta o per necessità, mettono su famiglia e intraprendono vecchie e nuove attività.
Non esistono né regole né modelli certi. Nella stessa valle possono convivere montagna ricca e montagna povera, abitata e spopolata, giovane e anziana. La Valle di Susa, per esempio, ospita centri molto attrezzati in alta valle, non solo per gli sciatori, e villaggi semi abbandonati nella media valle, dove il tempo sembra essersi fermato alla nostalgia contadina e a promesse tradite di sviluppo turistico. L’indice di vecchiaia di Bardonecchia è appena più alto della media nazionale, intorno al 160 per cento, mentre a Chiomonte supera il 300 per cento.  Negli ultimi dieci anni Bardonecchia ha guadagnato più di 200 abitanti e Chiomonte ne ha persi una quarantina, raggiungendo il minimo storico. A soffrire di più sono sempre le terre di mezzo, scavalcate dalle rotte dello sci e impossibilitate, per ora, a riflettersi in progetti post rurali, post turistici, post moderni. Sul post comanda il past.
Enrico Camanni (La Stampa, 2 ottobre 2010)

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