Lingua madre

1 aprile 2015

Valentina Porcellana e Federica Diémoz, Minoranze in mutamento. Etnicità, lingue e processi demografici nelle valli alpine italiane, Edizioni dell’Orso 2014, 250 pp., 17 euro

Qual è il legame tra la valorizzazione del patrimonio linguistico minoritario delle Alpi italiane e il ripopolamento che molti luoghi alpini stanno vivendo?
È l’interrogativo che si è posto un progetto universitario, con capofila l’Università di Torino, dal titolo “Liminal – Linguistic Minorities in the Alps: Ethnicity, Languages and Demographic Processes” (2013-2014), il quale ha indagato la situazione socio-antropologica e linguistica delle comunità alpine di minoranza. Le Alpi italiane presentano un ampio ventaglio di lingue cosiddette minoritarie, perché facenti parte del repertorio storico-culturale delle comunità locali, tutelate dallo Stato in seguita alla legge 482 del 1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” che nel territorio di riferimento comprende quattro lingue di cultura principali (francese, italiano, tedesco e sloveno) e una serie di “continua linguistici” quali: francese; occitano/provenzale; francoprovenzale; italiano e dialetti galloitalici; tedesco e dialetti altotedeschi; romancio, ladino, friulano; sloveno.
I risultati delle ricerche sono stati raccolti in un volume curato da Valentina Porcellana, antropologa di Torino, e da Federica Diémoz, linguista dell’Università svizzera di Neuchâtel dal titolo “Minoranze in mutamento. Etnicità, lingue e processi demografici nelle valli alpine italiane”.
Seppur i contributi provengano da studiosi di formazione diversa, da quella linguistica a quella antropologica, ed i territori di ricerca spazino lungo tutto l’arco alpino – le cui regioni geo-culturali presentano spesso delle specificità rimarcabili – il denominatore comune che ha permesso la raccolta di esperienze diverse è stato il tentativo di rispondere all’interrogativo inizialmente citato.
In molti casi, dal provenzale alpino allo sloveno passando per il walser o il ladino, i parlanti che nel volume vengono definiti “autoctoni” stanno diminuendo per cause anagrafiche; tuttavia, quello delle lingue minoritarie non è un patrimonio destinato ad essere trattato al passato. Infatti si stanno sempre più affacciando sulla scena culturale alpina varie iniziative di promozione e di valorizzazione che fanno della lingua uno dei fattori di vitalità e che soprattutto tendono a coinvolgere sempre più i “nuovi abitanti”, ossia coloro che si spostano nei territori alpini diversi motivi.
Un’ampia letteratura, come dimostrano numerose ricerche condotte in questi ultimi anni e citate nel volume, ha ormai rimarcato un fenomeno di ritorno alle Terre Alte. Costoro si pongono quindi anche come i “neo locutori” contribuendo a plasmare i sistemi di rappresentazione identitaria e, quindi, incidendo anch’essi sulla trasmissione di una “cultura alpina”.
Non è un caso che, così come per diversi aspetti del patrimonio culturale, anche per il repertorio linguistico si possa e si debba parlare di una nuova forma di veicolazione, non solo più verticale ed intrafamigliare bensì obliqua e extrafamigliare.
A giocare un ruolo importante sono il sistema d’istruzione, che permette l’insegnamento delle lingue minoritarie, e le numerose iniziative di incentivo all’apprendimento delle lingue da parte del mondo dell’associazionismo, rivolte anche agli adulti.
Laddove, poi, le comunità linguistiche contano ancora un buon numero di parlanti “autoctoni”, si evince come le diverse attività culturali legate all’appartenenza minoritaria contribuiscano in larga misura all’autorappresentazione sulla scena pubblica.
Il quadro diviene ulteriormente complesso se si guarda ai rapporti tra istituzioni e comunità: la normalizzazione e la nominalizzazione delle lingue e dei dialetti nelle diverse regioni hanno comportato un lavoro molto ampio e dibattuto da parte dei diversi istituti culturali regionali, mentre l’interesse sempre maggiore dell’Unione Europea e di realtà quali l’Unesco ne ha incentivato la consapevolezza ed ha investito di nuovi significati l’essere membri di comunità di minoranza.
Queste, infatti, alla luce di quanto esposto nei diversi saggi del volume, possono essere prese a modello per la creazione di un’Europa basata sul pluralismo, facendo della propria etnicità una qualità culturale aperta ed estroversa.
Maria Anna Bertolino

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