Il tempo sospeso

29 aprile 2016

Alexis Bétemps, Il tempo sospeso. Dal Natale all’epifania, Priuli&Verlucca, 2015

Il tempo sospeso. Dal Natale all’epifania (Priuli&Verlucca, 2015) di Alexis Bétemps ci porta all’interno di quel periodo calendariale chiamato festa che si protrae, per quanto concerne il Sacro Natale, per dodici giorni, o meglio dodici notti, all’interno delle quali il calendario rituale prevede adempimenti e riti che, attualmente, sono il risultato di un sostrato storico-culturale non privo di contaminazioni. A differenza di altri momenti calendariali festivi della tradizione, il Natale continua a essere una festa viva, vissuta nella tensione tra famiglia, comunità e mondo globale, pur senza perderne la secolare continuità. Infatti, con il procedere etnologico dell’autore, antropologo nativo che riflette sulle tradizioni della sua Valle d’Aosta, il lettore è coinvolto in una riflessione che parte da un contesto etnografico specifico e si amplifica diventando un racconto comparativo nel tempo e nello spazio.
L’impianto sul quale si base il lavoro è un corpus di interviste orali a informatori privilegiati al quale si aggiungono delle registrazioni più antiche conservate al Brel (Ufficio regionale etnologia e linguistica) e all’Avas (Associazione valdostana archivi sonori), tutti supportati da un apparato bibliografico che va dai classici dell’antropologia alle ricerche più recenti.
La Valle d’Aosta appare quindi il baricentro intorno al quale l’autore, descrivendone le modalità del vissuto, non si esime dall’oltrepassare i confini della propria terra per guardare oltre: al Vallese, al Piemonte, all’Italia, all’estero.
Ma già internamente la tradizione mostra le sue varianti e l’eccezionale dinamicità e plasticità: le dodici notti, a seconda del luogo, del paese e della valle, nonché dell’appartenenza storico-linguistica (si ricorda che in Valle d’Aosta sono presenti sia comunità walser sia francoprovenzali), si allungano inglobando i giorni precedenti così come si estendono sino alla Quaresima e oltre.
Pur tuttavia si tratta di cicli, che comportano dei codici comportamentali ben definiti e che rinnovano la comunità, tesa tra il passare del tempo lineare, proprio del calendario della concezione cattolica, con il più antico ma mai abbandonato tempo circolare, il più primordiale eterno ritorno, che riarmonizza cultura e natura. L’autore affronta così il ciclo dei dodici giorni scandendo la lettura in maniera cronologica mostrandoci usi e rituali ancora in vita o ormai abbandonati, dal Natale (o meglio dalla sua preparazione) all’Epifania, come poli tesi a non incontrarsi mai ma inestricabilmente legati da un prima e un dopo: all’interno, scansioni del tempo quali Santo Stefano e il Capodanno ne ridefiniscono le fasi liminari.
Scopriamo così l’arrivo del presepe in Valle d’Aosta e la pratica dei presepi viventi, ai quali si affiancava una rappresentazione in forma di pièce che aveva come protagonista un pastore, riscontrabile anche nelle vicine regioni del Piemonte e della Liguria: il Gelindo.
Vediamo l’avvento dell’albero di Natale quale tradizione importata e non ci stupiamo come al centro di tutto vi sia il cibo cotto, quale riaffermazione della cultura sulla natura, nel suo alimento principe della nostra civiltà: il pane.
La cottura del pane rimanda a un elemento naturale tra i più temuti, seppur l’unico che l’uomo sa creare: il fuoco, che si manifesta nei falò, manifestazione per eccellenza del suo addomesticamento.
E poi i canti, le benedizioni, le strenne e i regali, le questue, simboli del ringraziamento al divino per il creato e dono tra i membri di una comunità, che riafferma la sua compattezza.
All’interno di una società agro-pastorale quale quella valdostana di inizio XX secolo, i legami solidaristici giocavano un ruolo di primo piano e tutto il ciclo era teso a rinvigorirne la forza. Seppur sopito, questo si manifesta ancora nella contemporaneità, sopratutto nella famiglia di cui il Natale è la festa per eccellenza, dove si possono intravedere codici e comportamenti tramandati dal passato e nei quali ognuno può riconoscersi.
Maria Anna Bertolino

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