Creare un parco intorno a un simbolo

1 aprile 2015

«È almeno curioso – ha scritto sul Corriere di Saluzzo il consigliere regionale Paolo Allemano, promotore con l’assessore Valmaggia del Parco del Monviso – che molti di quelli che plaudono al riconoscimento Unesco alle terre di Langa, Roero e Monferrato esprimano contrarietà al Parco. È il caso di ricordare che il prestigioso marchio “patrimonio dell’umanità”, meritatamente acquisito, comporta vincoli e problematiche gestionali di non poco conto e cristallizza il territorio nell’attuale configurazione. Nulla di questo accadrà se verrà approvato il Parco del Monviso».

Allemano specifica che la legge di riforma dei Parchi regionali è stata adottata dalla Giunta Regionale allo scopo di migliorare l’efficienza degli enti gestori. Con la nuova legge che andrà al voto in aprile, gli enti passeranno da 14 a 7 e dovranno costituire nei limiti del possibile delle aree territorialmente omogenee e di sufficiente estensione. Per il primo motivo è stata scartata l’ipotesi di accorpare il Monviso al Parco delle Alpi Marittime, per il secondo non si poteva mantenere l’attuale impianto del Parco del Po Cuneese, che di fatto si limita alla torbiera del Pian del Re perché il resto dell’asta fluviale è ormai un insieme di “aree contigue” di competenza comunale.
Ed ecco che nasce l’idea di un Parco del Monviso, che all’alto profilo simbolico del nome e della montagna unisce l’opportunità «di mettere in un’unica cornice – spiega Allemano – aree che già oggi sono sotto tutela in varie forme, in attuazione del programma europeo Natura 2000, lo strumento che l’Unione Europea si è dato per la conservazione della biodiversità: aree protette della fascia fluviale del Po, siti di interesse comunitario (Sic) Alevé e Pra Barant, zone speciali di conservazione (Zsc), zone di protezione speciale (Zps), aree contigue. Un mosaico difficile da motivare e da comunicare. Superarlo nella cornice del Parco del Monviso rappresenta un salto di qualità già nel nome, centrato sulla montagna nota in tutto il mondo. Il Parco del Monviso porta il baricentro sulle terre alte, in un rapporto armonico con l’alto Po, e va a ricalcare i confini del “Mab Monviso”, il marchio Unesco – Uomo e Biosfera – che fa di tutta l’area un luogo pregiato sotto il profilo paesaggistico, della qualità ambientale e della biodiversità senza apporre vincoli ulteriori». Si tratta insomma di unire le porzioni di territorio che sono già tutelate, accorpandole intorno al brand del Monviso, con un’estensione di 17.000 ettari complessivi che incorpora livelli di tutela e vincolo molto diversi tra loro, e già presenti «ad eccezione di una porzione di territorio: la zona dell’Alpetto nel Comune di Oncino, in alta Valle Po, che tra l’altro ospita il primo rifugio del Club Alpino Italiano». Il nuovo ente sarà gestito da un presidente nominato tramite gara (per titoli) e da sei rappresentanti delle Comunità del Parco e della società civile.

Perché dunque la proposta ha incontrato un simile fuoco incrociato nei territori, dai cacciatori agli allevatori, dai piccoli comuni ai rappresentanti delle comunità locali?
Allemano risponde nel concreto: «Direi per quattro motivi. Il primo è che, come capita quasi sempre quando si parla di parchi, si è insistito molto sui vincoli e pochissimo sulle opportunità. È passata l’idea che i vincoli di tutela fossero tutti assimilabili alla torbiera del Po, ma non è affatto così. La seconda ragione riguarda un certo pregiudizio sul ruolo degli enti Parco, che vengono vissuti come meri luoghi di compensazione della politica. Sarà nostro dovere, invece, fare di tutto per restituire una buona governance al territorio. La terza ragione, inoppugnabile, è che una politica molto in difficoltà negli ultimi anni, sia a livello nazionale che regionale, venga a mettere piede e voce nei territori. La risposta più gentile è “statevene a casa vostra”. L’ultimo motivo, forse il più importante, è che le unioni di comuni sono più preparate ad affrontare sfide di ampio respiro come il Parco del Monviso, mentre i piccoli Comuni fanno fatica. I più tenaci oppositori al Parco sono stati Crissolo in Valle Po e Casteldelfino in Val Varaita».

E le opportunità?
«I comuni dell’area Mab avrebbero uno strumento in più al servizio di una progettualità transfrontaliera ai due lati del Monviso. Una leva per la promozione dello sviluppo dell’area montana in chiave turistico-culturale-sportiva e per il sostegno dell’economia agricola, forestale e legata alla pastorizia. Se ci crediamo, si può costruire un sistema dinamico proiettato nell’Europa delle Regioni, capace di attirare fondi europei e spenderli bene, un sistema virtuoso che ci porta oltre la crisi».

Che cosa risponde ai cacciatori?
«Che cambiano alcune regole dell’attività venatoria, peraltro già oggi vincolata anche nelle aree Sic. Ma è un fatto acquisito che i prelievi di animali nell’area parco saranno possibili, nel comune interesse e attraverso convenzioni tra il parco e i cacciatori, ogni volta che verrà ritenuta troppo elevata la pressione della fauna selvatica. Peraltro i cacciatori potranno avvalersi di un’ampia area naturale di ripopolamento senza dover ricorrere alla rotazione dei territori di caccia per consentire il rinnovamento della fauna».
Enrico Camanni

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