Una sera, al Mordi e fuggi di San Demetrio ne’ Vestini, ho capito che gli Appennini giocano un ruolo centrale nel ridefinire la geografia nazionale. Tra paesi spopolati, vallate periferiche e montagne non alla moda si sta facendo strada quel processo di “nuova centralità della montagna” sancito nel Convegno di Camaldoli del 2019. È qui, come scrive il sociologo Aldo Bonomi, che “il margine si fa centro”. Così tra vassoi stracolmi di arrosticini e caraffe di Montepulciano d’Abruzzo mi sono trovato a ragionare con un’intera comunità di esperti, studiosi e attivisti impegnati nel rilancio di piccoli comuni montani nella zona interessata dal terremoto dell’Aquila del 2009: sono i “Comuni del cratere”, 140 campanili sparsi tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. Sei professionisti con alta specializzazione che si muovono tra Alpi e Appennini, facilitatori di progetti di ripopolamento e rinascita delle comunità locali grazie all’arrivo di nuovi montanari che si fondono con i restanti. Un movimento carsico, sotterraneo, fatto di giovani generazioni colte e legate al mondo dell’associazionismo attivo appeso al precario sistema dei bandi a progetto. Una comunità di cura che si incontra e cerca di mettere una pezza alla ricostruzione fisica realizzata dalle autorità competenti, dove splendidi palazzi in pietra con capitelli e davanzali in marmo riprendono forma ma purtroppo rimangono senz’anima, vuoti, mentre i residenti restano nei Map, i Moduli abitativi provvisori, che poi così brutti non sono, non costano e soprattutto dopo anni si sono costruiti una socialità intorno che manca invece alle nuove realtà ristrutturate.

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