Verso misteriosi territori di confine e oltre

3 ottobre 2016

Località: Val Maira
Punto di partenza: rifugio Campo Base, Fr. Chiappera (Comune di Acceglio, Cn)
Destinazione: molteplici
Tempi di percorrenza: i temi a cui si fa riferimento hanno interessato per secoli questi sentieri e percorrerli implica un rapido attraversamento di epoche diverse
Km: non contati
Attrezzatura consigliata: immaginazione e cinque minuti (per la lettura)
Note: l’allenamento servirà soltanto per farci spostare un po’ più lontano. Ma in questa avventura non è importante arrivare per primi

Puntando ai territori di Acceglio (1200 m), il viaggiatore dovrà attraversare Dronero (622 m), porta d’accesso della Valle, paese originario di Giovanni Giolitti, primo storico statista del Novecento. Oggi la distanza e il dislivello che li separano sono resi scontati da un interminabile tracciato asfaltato fatto di tornanti e rettilinei. Alcuni dei tratti di questa importante rete di collegamento che contribuì allo sviluppo economico della valle furono voluti da Giolitti stesso, poi successivamente integrati dall’intervento del genio militare del Regio esercito alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Spingendosi verso l’alta valle e avvicinandosi sempre di più alle misteriose lande di confine, potrebbe sembrare naturale per il viaggiatore immaginare quello stesso interminabile tracciato sassoso che dovette percorrere a cavallo il sottotenente Giovanni Drogo, protagonista del Deserto dei tartari di Buzzati.

Si dice che proprio sulle mulattiere oggi sostituite dal collegamento stradale tra la bassa e l’alta valle sia nato un mestiere davvero prezioso per il futuro delle abitudini alimentari di tutto il Piemonte. Un mestiere itinerante fatto di lunghe camminate, distanze incredibili, accampamenti provvisori, carichi pesanti. Una figura che nasce dall’esigenza per le genti di queste valli di inventarsi un lavoro da alternare a quello estivo dei campi e degli alpeggi.
La leggenda narra che fu nel tentativo di evitare le eccessive pretese dei gabellieri sul dazio del sale, bene così prezioso per le popolazioni alpine, che i trasportatori furono costretti a studiare come nasconderlo. Fu usando uno strato di acciughe che si diedero i natali a un commercio altrettanto se non addirittura più remunerativo: nascono gli “Acciugai” e alcune note ricette “tradizionali” (il viaggiatore pensi a quelle “al verde” o alla popolare Bagna Cauda con cui è comunemente associato il Piemonte culinario).

La torre di avvistamento che il viaggiatore si aspetterebbe di scorgere a preannunciargli la raggiunta destinazione non è quella della fortezza Bastiani, cioè dell’osservatorio militare posto su una porzione di confine definito di importanza “minor”’ da cui quel Giovanni Drogo tenta di scrutare i potenziali movimenti del nemico. Si tratta piuttosto di una guglia appartenente al “Gruppo del Castello” e nota come “Rocca Provenzale”: il suo profilo imponente e austero è adottato da molti come il simbolo della valle. La prima sua ascensione è legata a un fatto miracoloso e divenuto leggenda della sanguinosa battaglia di Novara, nel seno della prima guerra d’indipendenza italiana (1849). Il parroco don Agostino Provenzale della borgata locale di Lausetto (non lontano da Acceglio) pronuncia un voto in una fase della battaglia che lo vede ormai perduto, ferito e circondato dagli austriaci. Tornato a casa sano e salvo anche grazie al suo ingegno, decide di sciogliere il voto posizionando una croce sulla sommità della Rocca che da allora porterà il suo nome.
Ed è proprio a partire dalla fine dell’800 che le pareti del gruppo del Castello Provenzale iniziano a punteggiarsi di arrampicatori, alcuni di questi veri e propri miti dell’alpinismo italiano e europeo. Per esempio Ettore Castiglioni. Per ammirarne a tutto tondo quel suo inconfondibile portamento, il viaggiatore sarà sicuramente tentato di percorrere l’anello del Colle del Greguri. Il punto di partenza è quello stesso baricentro escursionistico verso il quale si sta dirigendo: il Rifugio Campo Base.
Lontano dall’assomigliare alla fortezza Bastiani, il rifugio sorge comunque sul perimetro di una caserma, la Vivalda. Un edificio militare costruito negli anni 30’ per ospitare i soldati addetti al presidio e ai lavori per le opere del Vallo Alpino sparpagliate per le creste circostanti (ma con diversi ruderi anche più a valle). In quest’ultimo secolo la sua funzione è cambiata a più riprese trasformandosi dapprima in un punto di riferimento per gli arrampicatori sportivi, per poi divenire il punto di partenza di alcuni tra i più interessanti e suggestivi itinerari che percorrono le montagne dell’alta Val Maira. I suoi “custodi” raccontano che ogni stagione ha il suo tragitto consigliato e una tipologia di escursione più adatta (a piedi, con le ciaspole o in bici). Il periodo invernale invece regala avventure in escursioni scialpinistiche con gradi di difficoltà di vario tipo. Andrea e Maurizio spiegheranno al viaggiatore che l’utenza è molto varia, colorata, e che parla spesso lingue diverse dalla nostra. Curiosamente, ogni nazionalità sembra avere i suoi sentieri preferiti: i nord europei, per esempio, privilegiano La Grande Traversata delle Alpi (Gta), l’itinerario escursionistico che unisce tutto l’arco alpino occidentale nella Regione Piemonte. Dal rifugio il viaggiatore si può agganciare alla spettacolare variante che si spinge fino alla Val Varaita attraverso il Colle di Bellino. Un’altra perla escursionistica che pare invece raccogliere sopratutto l’interesse dei turisti tedeschi riguarda gli affascinanti “Percorsi occitani”. Un itinerario che si sviluppa in 13 tappe lungo i 45 Km della Val Maira, per l’appunto incuneata nella parte di Occitania alpino-italiana che dalla Val di Susa raggiunge il Brigasco. Delineandosi secondo la diffusione della lingua d’oc, tale area storico-geografica che collega le Alpi Cozie ai Pirenei e all’Oceano Atlantico, è stata a lungo percorsa da una figura itinerante: il Trobador, che muove le prime mosse nel rigido mondo feudale del Medioevo, un mondo fatto di corti e di titoli nobiliari. Egli penetra ben presto nelle classi sociali più umili, come quella dei commercianti-viaggiatori, probabili responsabili del contagio occitano e della trasmissione di tematiche popolane nella canzone trobadorica. Più che il ruolo assoluto di raffinato contagiatore della lirica europea, il trovatore ha senz’altro contribuito, attraverso l’arte della “composizione itinerante”, a trasmettere e al tempo stesso a far circolare i tratti peculiari di un patrimonio di musiche e danze ricco e spugnoso per natura, al punto da perdurare nei secoli e farsi poi ri-scoprire e re-interpretare di recente con tanta vivacità e intraprendenza. Sebbene linguisti e filologi stiano studiando l’influenza di una “proto-canzone” in uso dalle popolazioni arcaiche di questi territori romanzi precedente al periodo storico dell’Occitania, la lingua d’oc ha senz’altro giocato un ruolo fondamentale nel veicolare la pregiata poetica provenzale, in queste terre e altrove.

Al Rifugio il viaggiatore si sarà convinto di dover operare una scelta del tutto arbitraria viste le molteplici alternative escursionistiche. Ma il problema è passeggero. Quando apprenderà della presenza nei dintorni di una cascata davvero particolare, da allora gli sembrerà di sentirsi come rincorso da uno strano eco, una specie di monotono fragore che proviene da non lontano al rifugio. Per togliersi ogni dubbio gli verrà quindi naturale imboccare il sentiero “Dino Icardi”, un anello dedicato all’alpinista valmairese scomparso prematuramente, e che ricalcando vecchi sentieri di confine attraversa il Vallonetto di Stroppia e quello dell’Infernetto, due tra i più affascinanti della Val Maira. Ben visibile e con segnavia rettangolari di colore giallo-blu e cartelli indicatori nei punti più salienti, il sentiero ha inizio nella Piana di Stroppia, appena 15 minuti dal rifugio e in corrispondenza della confluenza con il torrente Maira di un corso d’acqua proveniente dritto dritto da quel fragore ora sempre più potente. Appena a poche centinaia di metri si stacca infatti il salto della semi-sconosciuta eppur più alta cascata d’Italia. Con uno slancio impressionante di circa 500 metri questa parla la lingua di ben altri continenti: la cascata di Stroppia è tra le più alte d’Europa.

Il sentiero Icardi prosegue inoltrandosi in sbuffi d’aria carichi di acqua per poi presentarsi letteralmente “scavato” nella roccia, logorosa opera del Battaglione Alpini Valcamonica che intorno il 1939-40 prolungarono questo passaggio fino al piccolo ripiano erboso del Rifugio Stroppia (una vecchia capanna di pastori che oggi funge da bivacco per chi faccia richiesta delle chiavi a valle), trasformandola in un percorso piuttosto scenico. Con un ultimo colpo di reni si raggiungono i laghi di Niera, da considerarsi non a torto un bel primo traguardo per il viaggiatore che intenda spingersi in un’altra occasione verso i misteriosi territori di confine che compariranno appena più in alto.

Continuando in direzione Nord presto apparirà maestoso il Brec de Chambeyron (3389 m), la cima più elevata della Valle. Il sentiero, lasciato sulla sinistra un altro gigante, il Monte Baueria, guada il piccolo corso d’acqua del Vallonasso e raggiunge un pianoro da cui a breve si mostreranno affatto timidi il Buc de Nubiera e il Sautron. Ed è proprio dalle parti del Sautron e del suo colle che si materializza una storica via d’accesso per la Francia. Un passo percorso in alcuni casi anche a doppio senso quando nei secoli XVI e XII prima il Regno di Francia e poi il Ducato di Savoia spingono alla fuga centinaia di civili con la repressione del movimento calvinista.

I valichi alpini di questa parte delle Cozie meridionali non sono stati solamente un luogo chiave per garantirsi il passaggio e muovere i propri eserciti verso lontane campagne (come quelle napoleoniche), ma hanno spesso traghettato, come nel caso del Sautron, alla speranzosa ricerca di fortuna chi era diretto verso le terre d’oltralpe. Amministrativamente parlando, questi confini hanno inoltre rappresentano la ripartizione fisica di logiche fiscali diverse gravanti sui beni di consumo più comuni, generando spesso il contrabbando, confermando l’ancestrale vocazione delle Alpi per il circolare “illecito” di beni di ogni genere. In Val Maira però non ci si è limitati a condurre i muli carichi di merci attraverso pericolosi pendii di sfasciumi, oppure cercando sotto il carico di pesanti bisacce probabili passaggi nelle cenge più pericolose. Qui si è affinata una tecnica tanto particolare quanto efficace, sopratutto per il trasferimento di merci di piccolo taglio: i piccioni viaggiatori hanno tracciato per più di un secolo una rete invisibile di “sentieri alati” per il contrabbando alpino.

Proprio qui il viaggiatore potrebbe ritrovare quelle rupi, quella valle pietrosa posta a nord della Fortezza Bastiani, quel deserto da cui potrebbero comparire da un momento all’altro ombre di piccole figure armate, soldati stranieri che alla fine non compaiono mai.
Una volta nemici, oggi cugini e assidui frequentatori dei nostri rifugi, i francesi adorano le traversate di più giorni attorno il Brec di Chambeyron. Non è raro vederli scendere dal Tête de la Frema (3142 m) e dalla Tête de l’Hommme (3202 m), due vette accessibili per un escursionista esperto e allenato. Non lo è neppure scorgerli sul Col di Gippiera, appena 25 minuti dal Bivacco Barenghi, un terrazzo su cui già governa Parigi e da cui si ha una vista privilegiata sul Lac des Neuf Couleurs. Da qui il rifugio Chambeyron e la Valle dell’Ubaye non sono affatto lontani.

Si giunge al punto più alto del sentiero Icardi quando si trova il Bivacco Giuseppe Barenghi (2815 m), posto sulle sponde del Lago del Vallonasso di Stroppia, il più grande della Valle Maira. Da qui il viaggiatore può decidere di scendere da dove è giunto, proseguire verso la Francia, spingersi verso la sommità di qualche punta, o ultimare l’anello calando dal laterale Vallone dell’Infernetto. Per l’ultima opzione gli si presenterà l’unico passaggio nel quale adoperare una maggior cautela. Per regalarsi un’ulteriore interessante vista panoramica sull’alta Valle Maira, ma molto prima di raggiungere il punto di confine con la Valle del Maurin dove si incrocia la strada sterrata che sale dal rifugio, il sentiero si tuffa in un ripido pendio che fino alla mezza estate potrebbe rivelarsi ancora innevato e quindi maggiormente insidioso.
Tornando indietro sui suoi passi, ma anche percorrendo la maggior parte dei sentieri della Val Maira, non sarebbe affatto strano se il viaggiatore dovesse avvistare nel lampo di un’allucinazione i carretti odorosi delle sardine e del sale, un esercito perfettamente inquadrato che fora le nebbie con le punte di lancia, una coppia di affezionati amici alpinisti stracarichi di attrezzatura e pieni di entusiasmo pronti a tracciare una nuova via, una truppa di musicanti e commedianti che sogna il palcoscenico di una corte d’oltralpe. O forse no. Forse nella peggiore delle ipotesi il nostro viaggiatore avrà solamente assaggiato i vari gradi del fascino di quella montagna addomesticata soltanto con il lungo lavoro e non in tutti i suoi anfratti.

Si sente spesso dire che ogni valle sia uno scrigno da aprire, un baule pieno di risorse preziosissime. Eppure viaggiando da queste parti si scopre piuttosto il contrario: in Val Maira non mancano affatto i tesori, eppure i suoi confini non sono quelli del contenitore ermetico. Una valle da sempre in costante dialogo con l’esterno, oggi è in grado di tessere un dialogo esemplarmente equilibrato, un approccio riscontrabile nel silenzioso iperdinamismo di accoglienza adottato dallo staff del Rifugio Campo Base.
Per raggiungerlo, risalendo la valle, il viaggiatore non ha scorto vistosi pannelli pubblicitari o accattivanti slogan in inglese, eppure non si riescono a contare i turisti-esploratori stranieri che la percorrono in tutti i suoi angoli, coinvolti in svariate attività alle più diverse altitudini. Qua non ci sono impianti da ultimo grido, eppure vi si trovano alcune delle piste da sci di fondo tra le più apprezzate nelle Alpi nord-occidentali; qua non ci sono ristoranti premiati dalla stella Michelin, ma c’è una emergente e piacevolmente rustica cucina da rifugio.
La Val Maira ha tanto da dire, ma invece di gridarlo ad alta voce, lo annuncia piano e con umiltà: una specie di fragoroso richiamo da cascata.
Matteo Marasco

“Era l’acqua, era, una lontana cascata scrosciante giù per gli apicchi delle rupi vicine. Il vento che faceva oscillare il lunghissimo getto, il misterioso gioco degli echi, il diverso suono delle pietre percosse ne facevano una voce umana, la quale parlava parlava: parole della nostra vita, che si era sempre a un filo dal capire e invece mai. Non era dunque il soldato che canterellava, non un uomo sensibile al freddo, alle punizioni e all’amore, ma la montagna ostile”.
(Dino Buzzati, da “Il deserto dei Tartari)

Per saperne di più:
- “Val Maira. Ambiente, cultura e tradizioni di un’affascinante valle occitana”, Più Eventi Edizioni.
- “Terre di Occitania. Tradizioni, luoghi e costumi della cultura provenzale in Piemonte”, G.B. Aimino; V. Avondo, Edizioni del Capricorno
- “Strade e sentieri del vallo Alpino”, D. Vaschetto, Edizioni del Capricorno

Commenti: 2 commenti

  1. alessandro soprana scrive:

    Valdagno, 3-10-2016
    Il mio amico Alfredo, compagno nel servizio militare, mi ha fatto conoscere la Valle della Maira. La descrizione dell’art. corrisponde alle bellezze ed alle aspettative. L’unica osservazione che faccio è la non presenza di rifugi in cui sostare mangiando e bevendo qualcosa. Quando sono arrivato con i miei figli al “rifugio” Stroppia avrei gradito una birra e varie bibite per i figli, ma, come giustamente indicato nell’art., si tratta di un bivacco. Peccato. La birra e le bibite le abbiamo bevute al ritorno.
    cordiali saluti.
    alessandro

  2. Paolo Maria Gallo scrive:

    Buona sera, solo leggendo la descrizione della valle e delle sue bellezze ne ho già visto i panorami e assaporato i profumi: ottima
    la coinvolgente descrizione, pacata, “serena”, senza fronzoli e orpelli, senza inglesismi spesso e volentieri di troppo in altre situazioni. Mi sembrava di essere al passo con altri visitatori, col fiato cadenzato dal passo solenne, fermo nella ritmicità ma efficace nel poter raggiungere la meta. Grazie davvero per il racconto coinvolgente e affascinante. Gallo Paolo

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