Uget: 100 anni di un’associazione socialista

6 luglio 2013

9 marzo 1913, un gruppo di giovanissimi torinesi – il più vecchio, Giovanni Ferraris, ha 19 anni – fonda l’Unione Giovani Escursionisti Torinesi, organizzando la gita inaugurale con partenza a piedi dal centro di Torino alle 4 del mattino e destinazione fissata sulla vetta del Musiné. Cinquant’anni dopo la nascita del Cai, vi è dunque una nuova generazione di frequentatori della montagna che non si sente rappresentata dal glorioso sodalizio fondato da Quintino Sella; sono perlopiù operai, impiegati, artigiani, che salgono le cime come forma di evasione dalla città, allora in fase di massiccia industrializzazione.
C’è una sola persona a Torino, anche se è più facile incontrarlo su un sentiero di montagna, in grado di ripercorrere questa nobile storia, poiché ha ricoperto il ruolo di consigliere dell’Uget per oltre cinquant’anni. Si chiama Marziano Di Maio, ma tutti lo conoscono come Marsiàn, un omino magro e sempre abbronzato, custode riservato e silenzioso delle memorie legate al popolare sodalizio montanaro. Fino a 22 anni, nei primi anni ‘50, Marziano aveva guardato i cittadini che frequentavano la montagna con gli occhi del montanaro, poi è diventato lui stesso un abitante di città che da lì fuggiva per trovare svago nelle terre alte.

«Prima della Seconda Guerra Mondiale la nostra associazione arrivò a contare quasi 3000 soci» racconta Marziano. «Per le assemblee si doveva affittare un teatro, tanti erano i partecipanti. Nel decennale fu inaugurato, alla presenza di oltre 600 soci, il primo rifugio della sezione: una baita in Valle Stretta interamente ristrutturata con il lavoro di tutti, dove ora c’è il rifugio Re Magi. Di fronte a questo capillare radicamento il fascismo non ebbe il coraggio di sciogliere l’Uget come aveva fatto con le altre associazioni di escursionisti e alpinisti. D’altronde, le persone che andavano per monti conservavano uno spirito indipendente e libero che neppure la forte irreggimentazione era in grado di controllare».
Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale la volontà di ricostruzione si manifesta anche in seno all’Uget, che già nell’estate del 1945 organizza un campeggio in Val Vény per effettuare i lavori di apertura del rifugio Monte Bianco, tuttora attivo. L’anno successivo l’attenzione si rivolge alle montagne vicine a Torino e viene stipulato un accordo con le autorità militari per l’assegnazione di una casermetta al Sestriere e di un’altra sopra Beaulard, l’attuale rifugio Guido Rey. Nel 1947 nasce il Gruppo Alta Montagna (Gam) che, come scrisse il secondo presidente, l’operaio Guido Rossa, poi ucciso dalle Brigate Rosse, aveva l’obiettivo di «creare un ambiente alpinistico di un certo valore tra le leve giovanili, in cui poter trovare il compagno di cordata per affrontare le difficoltà delle “grandes courses”».
Nel frattempo Marziano si è trasferito definitivamente a Torino, dove si è laureato in Agraria e ha iniziato a lavorare. Il richiamo della montagna è però irresistibile, l’iscrizione all’Uget rappresenta la soluzione migliore per incontrare altri giovani con cui condividere la stessa passione.
«Ci si trovava una sera alla settimana in sede, dal 1934 al 2011 in Galleria Subalpina, e si organizzavano le gite per il sabato e la domenica. I primi anni si partiva alla garibaldina, non c’erano le risorse per lunghe trasferte o viaggi. Io ero fortunato perché avevo la Lambretta; gli altri prendevano il treno. Nel frattempo esplose il boom economico e la motorizzazione avvicinò enormemente le montagne alla città. Si percepiva una forte volontà di stare insieme, di organizzare iniziative e imprese. Gli alpinisti del Gam compirono importanti ascensioni nelle Alpi, tra cui, nel 1962, la prima salita italiana della parete nord dell’Eiger con Andrea Mellano e, nel 1963, l’importante ma triste spedizione nell’alta valle del Lirung quando persero la vita Giorgio Rossi e Cesare Volante. Nel frattempo era nato il Gruppo Speleologico, che si distinse come punto di riferimento italiano nel campo dell’esplorazione in grotta; fu poi la volta del Gruppo Scialpinistico, specializzato nei raid attraverso le Alpi, e dei gruppi sportivi agonistici che partecipavano alle gare di fondo e di discesa. C’era una gran voglia di fare da parte dei soci. La costruzione dei rifugi che ancora appartengono alla sezione fu interamente realizzata grazie al loro lavoro volontario, così come i numerosi bivacchi posti in zone molto isolate».
Il momento di maggior fermento per l’Uget sono gli anni ’70, quando vengono sfiorati i 5000 iscritti. Oggi la sezione è tornata a circa 3000 soci, come subito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Per il bagaglio di storia e storie e per l’inesauribile energia che tuttora dedica all’Uget, è ancora Marziano la persona più indicata per interpretare il presente di un rapporto, tra Torino e le sue Alpi, che non gode più della forza propulsiva di un tempo.

«Non si può dire che manchino le proposte; in questi ultimi anni con la nascita dei corsi e lo sviluppo dell’arrampicata sportiva i partecipanti alle attività dell’Uget sono sempre numerosi. C’è da considerare il generale invecchiamento dei soci più attivi. Non so dire se i giovani frequentano meno la montagna oppure continuano a farlo attraverso altri canali. Di certo si avverte una minore forza propositiva nelle nuove leve: alla fine sono sempre le solite facce note a portare avanti il lavoro. Dai tempi della mia gioventù a Bardonecchia, la distanza culturale e sociale tra città e montagna si è pressoché azzerata, ma forse le Alpi hanno perso un po’ della loro specificità. Torino e le valli hanno avuto nelle Olimpiadi un’occasione per ripensare il loro rapporto in prospettiva futura, ma alla fin fine l’evento è stato fortemente sbilanciato a favore della città, di cui le montagne erano un’estensione ludica, un parco giochi privo di una visione a lungo termine. Per questo motivo sono convinto che un’associazione come il Cai Uget debba continuare a portare i cittadini in montagna con l’obiettivo preciso di diffondere e mantenere una cultura forte della montagna su cui basare l’avvenire».
Simone Bobbio e Linda Cottino

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