Quote latte d’alpeggio

7 settembre 2015

Ad aprile di quest’anno sono andate in pensione le cosiddette “quote latte”, la misura di contingentamento della produzione di latte istituita dall’Europa dal 1984 con lo scopo di equilibrare il mercato e stabilizzare i prezzi. In tutti questi anni il mercato lattiero caseario comunitario è stato tenuto sotto controllo evitando eccessive produzioni con soglie annue da non superare, prevedendo in caso contrario penali piuttosto salate a carico di ogni produttore trovato nell’irregolarità. Ma al contempo, per decenni, l’Ue ha speso denaro pubblico per ritirare dal mercato ingenti quantità di burro e latte in polvere, allo scopo di tenere prezzi alti. E così e facendo ha spinto il sistema di allevamento a produrre sempre di più.

Carlin Petrini, all’indomani della fine delle “quote latte”, scriveva su Repubblica del 30 marzo 2015: «Abbiamo visto tutti i risultati dell’aiuto diretto e delle quote: stalle mediamente sempre meno numerose e più grandi; razze bovine da mungitura progressivamente ridotte a pochi tipi, con la Frisona a farla da padrona in tutti gli areali dove l’allevamento da latte persisteva; diffusione a tutte le latitudini europee di un modello intensivo di conduzione dell’azienda lattiera, basata sui cosidetti unifeed (generalmente, insilati mescolati a fieno o paglia), arricchiti con svariate altre materie prime (dalla soia ai semi di lino, dai semi di cotone ad alcuni residui di lavorazioni alimentari), che avevano lo scopo di eliminare le differenze nel gusto del latte derivate dai cambi di stagione e dalle diverse dislocazioni territoriali degli allevamenti. Quando ero bambino, ricordo perfettamente che il latte raccolto nella stalla dove si mungeva (poco) latte da alcune bovine di razza piemontese, cambiava nettamente sapore quando gli animali passavano dall’erba fresca al fieno, perché l’inverno era arrivato, per poi tornare a dare al bianco liquido un’autentica esplosione di sapore e profumi quando, come in questi giorni, i prati tornavano a verdeggiare e a punteggiarsi di fiori. Oggi, martedì 31 marzo, il sistema che ha governato il settore lattiero europeo per più di trent’anni terminerà: le quote andranno in pensione. Ma il futuro non sarà un ritorno al latte che profuma a seconda della stagione, molto più probabilmente sarà un tempo di rimpianti, invidie e gesti eclatanti. […] E’ chiaro che quel sistema ha livellato la produzione, ha reso facile il compito di chi quel latte doveva lavorarlo e trasformarlo, ma ha tolto un vantaggio competitivo importante al Paese. Chi ha avallato quel sistema oltre trent’anni fa, oggi non dovrebbe stracciarsi le vesti o fare picchetti contro le cisterne che arrivano dall’estero: dovrebbe chiedersi se la sua fu politica per gli agricoltori o un’insipiente accondiscendenza nei confronti di interessi forti, nazionali ed europei. La risposta, finalmente ci siamo, è che il nostro latte, reso anonimo da decenni, tra pochi giorni si ritroverà a competere in un sistema di “libero mercato” con un latte identico che arriva in Italia a 10 centesimi in meno, al litro, dall’Est. Il recupero di un’identità delle produzioni nazionali, la possibilità verificata di indicare il luogo di produzione, ma anche e soprattutto di dare conto al consumatore sulla dieta delle bovine, sul fatto che esse siano trattate secondo i più avanzati standard del benessere animale, così come il recupero di filiere di latte locali da razze autoctone, sono le chiavi per ricostruire il valore del latte italiano. […] Tutte le piccole produzioni, sia di latte sia di formaggi dalla lunga storia e dai gusti indimenticabili, che hanno resistito nonostante le difficoltà e il loro essere state in qualche modo anacronistiche rispetto al sistema dominante per decenni, sono un esempio da seguire e un insieme di micro-modelli locali da imitare e ridiffondere in ogni territorio. Si tratta di una grande sfida per il Ministro delle Politche Agricole e Forestali nell’anno di Expo, ma dal suo esito dipendono conseguenze molto più durature, per l’intera agricoltura italiana, di quelle che potranno scaturire dai luccicanti padiglioni di Rho».

Gaetano Pascale, presidente di Slow Food Italia, aggiunge: «L’approccio migliore dovrebbe essere inclusivo, coinvolgendo anche le micro economie delle aree montane e svantaggiate che garantiscono in prevalenza prodotti di qualità organolettiche uniche. Oltre a rappresentare un vero e proprio modello sociale ed economico, la loro centralità è soprattutto legata alla garanzia che offrono nel presidiare questi territori ritenuti di maggiore vulnerabilità. Ben vengano allora le proposte che mettono l’accento su pratiche sostenibili e di qualità, che devono essere enfatizzate e riportate in maniera chiara sull’etichetta. Sicuramente ne trarranno beneficio i latti e formaggi provenienti da capi allevati in condizione di benessere animale, alimentati su pascolo e in ambiente consono alla loro natura».
Maurizio Dematteis

Commenti: 1 commento

  1. giuseppe caldera scrive:

    Conferma di quanto ho detto in risposta all’altro articolo
    di Maurizio Dematteis.
    Solo chi porta le vacche in montagna e produce formaggi
    potrà garantire questa variabilità perchè
    vacche di razza Piemontese o Bruna Italiana o Pezzata
    Rossa o Grigio Alpina o Pustertaler o Burlina o Rendena solo per indicarne alcune, che pascolano erbe
    diverse dal Piemonte al Fruli. potranno solo dare
    formaggi vari anche per le diverse tecniche di
    lavorazione come le temperature di cottura post
    cagliata.
    Questa è la bellezza e la bontà dei prodotti Italiani.
    A differenza delle produzioni ad es, Svizzere dove
    30 alpeggi producono un solo formaggio che se pur
    buono sembra fatto con lo stampino !!
    In Francia gli alpeggi portano il latte nei caseifici di valle e anche qui le essenze presenti nei diversi alpeggi si mescolano creando un prodotto standard.
    Nell’arco alpino andiamo dalla Raschera CN al Montasio UD
    passando dalla Fontina al Bettelmatt al l’Ossolano al formai del Mut al Bitto al Bagoss al Vezzena al l’Asiago solo per indicarne una minimissima parte.
    Io, grazie alla mia passione per gli alpeggi, ho avuto la
    fortuna di assaggiare delle vere perle casearie prodotte da un solo alpeggio magari di 10-15 vacche!!

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