Leapfactory: la realtà che non ti aspetti

9 settembre 2013

Leapfactory è una realtà che non crederesti. Percorri strada del Francese, in Provincia di Torino, nella zona industriale di Borgaro Torinese, e scorrono i cartelli di vendesi e affittasi su serrande abbassate. E’ la fotografia di una città in profonda crisi in un paese in affanno. L’immagine di una piccola e media impresa che fino a ieri prosperava all’ombra di “mamma Fiat”, e oggi stenta a ricollocarsi. Sembra di vedere ancora i titolari che parcheggiano, come ogni giorno, la loro auto a fianco del capannone e salutano i loro 5, 6, 10 operai. Quegli stessi titolari costretti negli ultimi anni a chiudere la loro azienda. Una sensazione di tristezza.
Poi entri nel capannone di Leapfactory e ti ricredi: intorno a tre enormi cilindri di vetroresina, future unità di un megarifugio in partenza per il Caucaso, si agitano artigiani e operai intenti a cablare, tagliare, assemblare. Mentre in un angolo, su una scrivania, un ingegnere scorre dati di misurazione al computer, e un tecnico installa una serie di micro pannelli solari. I titolari sono Stefano Testa e Luca Gentilcore, due giovani architetti, se si calcola che oggi si è giovani fino, almeno, a 40 anni, che emanano un entusiasmo contagioso. E infatti l’atmosfera, all’interno del capannone, è ben diversa da quella che si respira al di fuori, nella zona industriale: perché a Leapfactory, nel bene o nel male, si sta ridisegnando l’immagine dell’architettura montana.

«La realizzazione del rifugio Gervasutti ci ha lanciato alla ribalta delle cronache – spiega Stefano Testa – e ora stiamo lavorando alla realizzazione di una nuova stazione d’alta quota utilizzando la medesima tecnologia modulare. Si tratta di un nuovo rifugio sul monte Elbrus, nel Caucaso russo, che verrà montato a un’altitudine di circa 4000 metri per ospitare fino a 50 persone, con ristorante, alloggio per il custode, unità per servizi igienici e impianto per la depurazione dei reflui. La commessa ci è arrivata direttamente dalla compagnia di investimenti russa “North Caucasus Development Corporation”».
Quel che si dice lavorare sul “mercato globale”, altro che “mamma Fiat”!

Uno dei punti di forza di Leapfactory è sicuramente il rapporto con l’ambiente. Che se da una parte viene “provocato” da strutture altamente innovative con linee futuriste da far rizzare i capelli in testa persino alla buon’anima dell’architetto Mollino, dall’altra viene “coccolato” grazie a soluzioni tenologiche all’avanguardia, come i moduli per il trattamento delle acque reflue, bianche e nere, per risolvere il problema dello smaltimento in alta quota. O quelle che, per capirci, potremmo definire le “casette del pastore” (sperando che i due soci ci passino la banalizzazione…), cioè moduli rettangolari con coibenzazione, impianti per energia da fonti rinnovabili e possibilità di essere smontate a fine stagione, che potrebbero andare a sostituire le ben più impattanti roulotte o ricoveri in lamiera oggi spesso utilizzati.
L’ultima idea a cui stanno lavorando Testa e Gentilcore è davvero rivoluzionaria: quella di scendere di quota per occuparsi del recupero delle borgate alpine. Con moduli pre-costruiti da inserire all’interno dei muri perimetrali in pietra, per rispettare le norme ambientali esterne, cercando di abbattere i costi di cantierizzazione e edilizia, lavorando a un’ingegnerizzazione spinta dei moduli stessi. Con buona pace delle centinaia di ditte edili valligiane e dell’eterogeneità degli ambienti architettonici delle valli alpine.
Ma oggi ormai lo sappiamo bene, il “progresso” non può permettersi compromessi.
Maurizio Dematteis

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