La montagna insegna

10 gennaio 2020

Il capodoglio spiaggiato di recente in Scozia aveva 100 chili di spazzatura nello stomaco. Il cervo morto pochi mesi prima in un parco naturale della Thailandia ne aveva 7 di chili di spazzatura, plastica, nello stomaco. “Due voci possenti ha il mondo: la voce del mare e la voce della montagna” scriveva il poeta William Wordsworth.

Eppure la spazzatura è ormai ovunque: nei mari, nei boschi, nei prati, nei rii, addirittura nei ghiacciai, per non parlare di quel che c’è nei fondali dei laghi alpini. A inizio a ottobre nel lago d’Iseo è stato trovato un cumulo di rifiuti alto 40 metri e largo 10. Non è azzardato affermare che l’inquinamento da rifiuti è causato per lo più dagli stili di vita cittadini. Durante la campagna nazionale sui rifiuti nei parchi urbani italiani “Park litter 2018” Legambiente in soli 71 parchi pubblici italiani ha raccolto e catalogato oltre 23mila rifiuti, per un totale di 7.400 mq, pari a quasi 6 piscine olimpioniche. Un dato a dimostrazione di come l’abitudine “all’usa e getta” sia una cattiva abitudine che si reitera anche quando si va in montagna: dal semplice pic-nic di fine settimana al più sofisticato trekking di alta quota. Un modello di sviluppo figlio delle società industriali e postindustriali urbane che ha determinato una crisi ambientale e climatica senza precedenti e che la “generazione Greta” ci chiede di cambiare radicalmente, ricordandoci come le economie e le società siano dipendenti dalla biosfera e dalle sue risorse. In questa necessaria transizione verso un mondo più pulito e meno soggiogato dai cambiamenti climatici le Aree Interne per storia e per tradizione potrebbero dare un fondamentale contributo in quanto a stili di vita e modalità di sviluppo. Ci sono tutti i presupposti perché oggi questi territori, fino a ieri considerati deboli, se non inutili, si propongano per esercitare nuove forme di influenza spingendo verso modelli economici e abitudini che non danneggino la biodiversità, non inquinino gli ecosistemi naturali e non creino danni a lungo termine a società e ambiente. Un esempio in positivo è quello che osserviamo nelle risposte che sempre più abitanti della montagna stanno fornendo ad una crescente domanda di turismo sostenibile e di acquisto di prodotti agroalimentari sani. Si va delineando un rapporto nuovo tra campagna e città, che in molti casi inizia da una nuova consapevolezza e coerenza di vita trasmessa dallo stesso produttore montano. In una certa misura pare affiorare un vero e proprio protagonismo economico e politico di quei gruppi di “resilienza agraria” che hanno scelto di resistere attivamente ai grandi impatti del modello globale. Non va dimenticato poi che la quasi totalità dei Servizi Ecosistemici di cui fruisce la città proviene dalle aree interne rurali e montane e che molti di questi sono co-prodotti da una combinazione di Capitale Naturale e Capitale Umano.

I piccoli ma significativi esempi di buone pratiche che abbiamo conosciuto in questi anni attraverso i dossier delle Bandiere Verdi di Legambiente ci raccontano di come questi territori, per lungo tempo assecondati in modo passivo ai grandi agglomerati urbani, stiano incominciando a emergere assumendo ruoli non secondari, ruoli innanzitutto coerenti con quello sviluppo oggi indispensabile per il bene del Paese. Una sorta di rivalsa nei confronti delle città, quelle stesse città che non possono fare a meno di cibo buono, acqua pulita, boschi, paesaggi e biodiversità. In questa transizione epocale i territori rurali, se ben organizzati, potrebbero diventare lo spazio ideale attraverso il quale ricostituire circuiti economici sostenibili, coinvolgendo le comunità locali e valorizzando con equilibrio le risorse naturali. Oggi la montagna può assumere nuovi significati e valori, non più come territorio disagiato ma come territorio capace di fornire risposte concrete alla crisi ambientale a partire dagli stili di vita improntati alla sobrietà. In questa nuova visione del futuro diventa fondamentale una ri-centralizzazione della natura, e proprio dai territori montani potrebbero arrivare quei segnali utili a favorire una ricostruzione di un sano rapporto con essa, rapporto che gran parte dei cittadini ha perso o forse non ha mai avuto.
Vanda Bonardo

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