La Convenzione delle Alpi: meno male che c’è

29 novembre 2014

Tutti sanno che le Alpi hanno in Europa un’importanza eccezionale per la loro posizione di cerniera tra il Sud mediterraneo e l’interno del continente, per essere un grande serbatoio di risorse naturali e paesaggistiche, ben presenti nell’immaginario dei 150 milioni di turisti che le visitano ogni anno. Dal punto di vista fisico, nei loro 1200 chilometri di lunghezza presentano un patrimonio ambientale unico in Europa per altitudine, varietà climatica, biodiversità e ricchezza di acque, che alimentano gran parte dei grandi fiumi del continente. Inoltre, interagendo con questo ambiente e con il resto dell’Europa, le popolazioni alpine hanno dato origine a una straordinaria diversificazione di culture, pratiche di vita, paesaggi ed espressioni artistiche.
Le Alpi hanno anche un altro record, questa volta mondiale: confrontate con ciò che le circonda, offrono il più grande contrasto in fatto di squilibri demografici, di reddito e soprattutto ambientali. Attorno alle Alpi troviamo la zona più densamente abitata e più ricca del continente, ma anche una di quelle dove il patrimonio naturale e la diversità culturale hanno subito negli ultimi due secoli la maggior erosione. Il contatto tra questi due mondi è drammatico perché l’avampaese metropolitano preme sul retroterra montano con l’urbanizzazione, la colonizzazione delle seconde case e dei grandi impianti sciistici. Di qui una serie di problemi e di conflitti la cui gestione era affidata in modo vario e del tutto scoordinato a sette diversi paesi prima che la Cipra promuovesse presso il Consiglio d’Europa il trattato internazionale per la conservazione attiva del grande patrimonio alpino, cioè la Convenzione delle Alpi.

E’ un trattato internazionale che tra il 1991 e il 1994 è stato sottoscritto da tutte le entità statali territorialmente competenti: Francia, Principato di Monaco, Italia, Svizzera. Liechtenstein, Germania, Austria e Slovenia. Ha dato origine a un’organizzazione piuttosto articolata (si veda il sito http://www.alpconv.org) a cui partecipano gli stati, le regioni, le municipalità e varie associazioni con il principale obiettivo di valorizzare il patrimonio naturale, culturale e sociale delle Alpi attraverso uno sviluppo che lo preservi e lo tramandi alle generazioni future.
La sua XIII Conferenza tenutasi a Torino nei giorni scorsi, a conclusione del biennio di presidenza italiana, offre l’occasione per una riflessione che negli articoli e delle interviste di questo numero della nostra rivista non sono tutte positive. Chi vive più a contatto con i problemi quotidiani e le giuste rivendicazioni della montagna alpina, stenta a vedere i risultati concreti della Convenzione. Altre persone, che operano con un maggior distacco dalle contingenze locali, sono più ottimiste. A un osservatore esterno come me colpisce la sproporzione tra le dimensioni dell’apparato organizzativo, normativo e discorsivo europeo e la sua capacità di incidere non dico sulle cose, ma almeno sulle politiche degli stati membri. Mi chiedo però se in una realtà così complicata come quella delle Alpi (e dell’Europa in genere, per non parlare dell’Italia) la Convenzione non sia già un passo avanti rispetto a un passato in cui ogni pezzo delle Alpi viaggiava per conto suo. Forse con i suoi nobili enunciati essa crea più aspettative di quante ne soddisfi, ma quello che fa, anche se non serve a risolvere subito i tanti problemi di ogni giorno, getta le premesse per un’azione comune che aiuta a risolverli. Penso cioè che la Convenzione svolgerebbe comunque un ruolo importante anche se si limitasse a promuovere forme di comunicazione, di coordinamento e di cooperazione transnazionale con cui le istituzioni pubbliche, quelle della società civile e i singoli cittadini arrivino a condividere visioni di lungo periodo, conoscenze, esperienze e buone pratiche.
Oggi però ci possiamo aspettare di più. Da quando s’è messa in moto una Strategia Macroregionale che mette i lupi e le pecore nello stesso recinto, il ruolo della Convenzione sta diventa particolarmente importante. Infatti la Macroregione alpina disegnata dall’Ue con l’approvazione degli stati (gli stessi della Convenzione) e delle loro regioni anche solo parzialmente “alpine”, oltre alla montagna alpina comprenderà un vasto territorio circostante per nulla montano. Diventerebbero così “alpini” per decreto, oltre a quelli veri (circa 17 milioni), altri 53 milioni di abitanti e una dozzina di aree metropolitane tra cui Milano, Monaco di Baviera, Lione, ecc. L’unica garanzia che i lupi non si mangino le pecore, o che per lo meno non le sfruttino come hanno fatto finora, è che al centro della strategia macroregionale si ponga la Convenzione con il suo perimetro realmente montano e con i suoi obiettivi di salvaguardia, valorizzazione del patrimonio e di sostegno delle popolazioni e delle culture alpine. Chi ha a cuore il destino delle Alpi, a cominciare da chi ci vive, dovrebbe vedere nella Convenzione lo strumento per difenderne l’autonomia e per instaurare con le città e le metropoli dell’avampaese uno scambio meno ineguale.
Giuseppe Dematteis

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