L’architettura delle infrastrutture

1 marzo 2012

Ponte pedonale
Luogo: Mandello-Lario (Lc)
Progetto: Act_Romegialli
Strutture:  Studio Moncecchi Associati
Cronologia: 2009

Sottopasso pedonale
Luogo: Morbegno (So)
Progetto: Act_Romegialli
Strutture:  Studio Ingegneria Moretta
Cronologia: 2000

Che cosa rende così affascinante un moderno rifugio d’alta quota, una borgata arroccata su uno sperone roccioso, un antico ponte ad arco sospeso su un orrido o anche solo una piccola baita?
Se vi è un comune denominatore tra le diverse architetture alpine che l’immaginario collettivo considera “belle”, questo non va cercato nella ricchezza del decoro o nella ripetizione di modelli aulici: l’architettura delle terre alte è sempre stata caratterizzata da limitatezza di risorse e povertà delle genti, tanto da rendere le Alpi il luogo archetipo della vita frugale. No, se vi è un comun denominatore va cercato nell’essenzialità strutturale, nella capacità di trasformare le ragioni tettoniche dell’edificio nel suo principale ornamento: più l’edificio è povero, più appare puro e cristallino. Non per nulla fienili, tettoie, ciabòt sono divenuti nel tempo gli edifici più interessanti per gli studiosi. Tuttavia, non sempre questo insegnamento caratterizza la produzione edilizia alpina contemporanea.
Alcuni temi di élite – come le costruzioni in alta quota, su cui la pubblicistica di architettura si sta recentemente concentrando – continuano a essere il luogo della sperimentazione e della ricerca architettonica in campo strutturale: i nuovi rifugi alpini e gli innumerevoli punti panoramici ne sono forse gli esempi più celebri.
Altri temi progettuali più diffusi sul territorio e più presenti nelle pratiche ordinarie di trasformazione – in cui le questioni strutturali costituiscono la ragione fondante del manufatto – appaiono invece ormai svuotati da ogni attenzione alla forma a favore di un tecnicismo falsamente economico. Le opere legate alle infrastrutture – ponti, passerelle, sottopassi, tunnel – sotto questo aspetto sono l’esempio lampante di un atteggiamento che nel tempo ha trasformato uno dei principali temi di architettura alpina – con soluzioni pensate luogo per luogo – in mera ripetizione a catalogo di elementi prefabbricati a basso costo.
Ciò è particolarmente visibile nel tratto occidentale delle Alpi, specialmente in Italia, dove sono rari gli esempi di infrastrutture che siano pure apprezzabili manufatti architettonici. Per questo motivo presentiamo due piccoli ma interessantissimi lavori di uno studio – Act_Romegialli – che da anni opera nelle vallate a ridosso del lago di Como, un territorio per certi versi di mediazione tra le “povere” – architettonicamente parlando – Alpi occidentali italiane e le più rinomate Alpi orientali.
Il primo e più conosciuto progetto riguarda un ponte pedonale a Mandello-Lario, in provincia di Lecco. Si tratta di una struttura basata su due travi-parapetto identiche per forma e dimensione ma posate in modo alternato – ossia una è capovolta –, in modo da intercettare il tracciato asimmetrico dei percorsi che convergono sul ponte senza comprometterne la funzione statica. L’aderenza al luogo di progetto si attua non solo nelle forme del ponte ma anche nella sua tecnica costruttiva. La scelta del materiale – un acciaio verniciato – non nasce infatti da ragioni di camouflage ambientale o di allineamento alle imperanti mode dell’architettura contemporanea, ma muove dalle presenza locale di numerose e rinomate aziende metalmeccaniche che hanno fatto della produzione di alta precisione il proprio marchio di fabbrica.
Il secondo progetto riguarda invece un sottopasso pedonale a Morbegno, in Valtellina. Anche in questo caso vi è una particolare attenzione alla forma del manufatto, sia dal punto di visto del tracciato – lo sviluppo asimmetrico e curvilineo del sottopasso evita la presenza di nicchie o angoli particolarmente bui percepiti come potenzialmente pericolosi dai pedoni – che delle murature: le pareti si inclinano gradualmente verso la metà del percorso per poi tornare verticali, mentre il rivestimento passa progressivamente da una modalità di posa liscia a una dentellata per assecondare i flussi di percorrenza e conferire maggior fono-assorbenza allo spazio, eliminando i fastidiosi echi e rimandi di suono così frequenti nei percorsi interrati.
Si tratta in entrambi i casi di opere che potremmo definire montane non tanto per l’uso di materiali tipici o per la reinvenzione di modelli consolidati, quanto per la capacità di esprimere una forte relazione tra le necessità delle struttura, le forme dell’architettura e le ragioni del luogo.
Mattia Giusiano e Roberto Dini

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