Il vino valdostano: da fonte energetica a prodotto simbolo

1 febbraio 2018

In Valle d’Aosta il vino si produce da sempre. É però profondamente cambiata la sua funzione e il suo ruolo socio-economico. Dall’epoca romana fino alla fine degli anni ’70 la produzione vitivinicola era principalmente finalizzata all’autoconsumo, fornendo un apporto energetico alle famiglie rurali. Nel tempo, la superficie del “vigneto valdostano” si è sensibilmente ridotta passando dai circa 3.000 ettari di fine ‘800 (in epoca pre-fillossera) ai 1.000 ettari dei primi anni ’80 fino agli attuali 465 ettari. Anche le aziende agricole che producono uva sono diminuite in misura consistente: nell’82 erano poco meno di 5.000 mentre oggi sono circa 1.400. Certamente negli ultimi vent’anni la produzione ha cambiato radicalmente la sua funzione: oggi si produce vino di alta qualità con finalità soprattutto di commercializzazione (circa 14.000 ettolitri per 2 milioni di bottiglie). Nel complesso, la Valle d’Aosta si colloca in linea con le tendenze nazionali presentando, però, un’accentuazione delle fenomenologie: il valore aggiunto della produzione, in particolare, è cresciuto fino a 1,37 euro/litro, un valore molto superiore a quello medio nazionale (0,71 euro/litro).

Nel frattempo è cresciuto anche il valore simbolico del vino, che è oggi uno degli elementi del “paniere alimentare” valdostano che più contribuisce a rafforzare l’immagine esterna della Valle. A questo riguardo, è importante considerare che la superficie “vitata” valdostana rappresenta un elemento di straordinario arricchimento paesaggistico. Evidenzia la presenza umana storica nel fondovalle e restituisce immediatamente l’immagine di una comunità attenta ed operosa. Inoltre, veicola efficacemente l’idea della sfida, della capacità della gente di montagna di “presidiare” un territorio complicato e di renderlo produttivo. Non a caso il recente convegno sulla viticoltura valdostana promosso dall’Osservatorio sul sistema montagna della Fondazione Courmayeur Mont Blanc in collaborazione con l’Institut Agricole Régional e il Censis, (Aosta, 4 dicembre 2017) è stato denominato “Vignerons grimpants – La viticoltura di montagna. Realtà e prospettive”.
Ma la produzione vitivinicola in Valle d’Aosta rappresenta anche un formidabile asset per la tutela del territorio. Percorrendo il fondovalle un visitatore sufficientemente sensibile coglie immediatamente il “significato idrogeologico” dei terrazzamenti, dei muretti a secco, dei “ciglioni”, senza i quali l’acqua ruscellerebbe rapidamente a valle e i ripidi versanti avrebbero bisogno di continui e costosi interventi di manutenzione.
Infine, la viticoltura valdostana si caratterizza per la sua “intrinseca salubrità”: i vigneti si collocano sui versanti a sud di un territorio con deboli precipitazioni e bassa umidità e con una importante escursione termica. Questo alimenta la ventilazione e riduce le patologie parassitarie e fungine favorendo lo sviluppo dei sentori varietali e riducendo al minimo il fabbisogno di trattamenti fitosanitari. In sostanza, minori costi, minor impatti ambientali, minori preoccupazioni per la salute degli operatori e della popolazione residente.

Nella rinascita del vino valdostano un ruolo importante lo ha giocato la notevole disponibilità di quel fondamentale “capitale sociale” rappresentato dalla intensa e coordinata azione di tutti i soggetti locali coinvolti. Al riguardo va ricordato che: le Istituzioni regionali hanno sempre previsto specifiche misure incentivanti nei Piani di sviluppo Rurale (dalla specializzazione agricola all’ammodernamento dei terreni, per un recupero della pratica vitivinicola); l’Institut Agricole Régional ha giocato un ruolo fondamentale sul fronte della ricerca e della sperimentazione (recupero varietà autoctone e introduzione di nuovi vitigni), della formazione e della produzione diretta; il CERVIM (Centro di Ricerche, Studi e Valorizzazione per la Viticoltura Montana), organismo internazionale con sede ad Aosta, promuove e salvaguarda la “viticoltura eroica”;
la produzione cooperativa, nata negli anni ’70, ha svolto un ruolo fondamentale nel raccogliere le uve dei tanti piccolissimi produttori e nel conferire valore aggiunto al vino valdostano migliorandone la qualità con tecnologie ed expertices qualificate; i produttori a marchio proprio (circa una quarantina attualmente) hanno scelto di investire su aziende familiari rinnovandole completamente, rimettendo a coltura vecchi impianti abbandonati e presidiando le dimensioni della qualità produttiva e delle forme moderne di marketing e di commercializzazione; l’Associazione Viticoltori Valle d’Aosta (VIVAL), nata nel 2013 riunendo 6 cooperative, 25 produttori singoli e lo stesso Institut Agricole Régional, ha interpretato il proprio ruolo associativo tutelando e promuovendo il vino valdostano e le sue peculiarità.

Tutti questi valori tangibili e intangibili (storia, specificità, paesaggio, “produzione eroica”, qualità intrinseca) quanto vengono percepiti all’esterno? È difficile dirlo con chiarezza, ma certamente l’attenzione per il vino valdostano è in rapida crescita, come si può notare dall’andamento delle occorrenze Google per la locuzione “vino valdostano”.
Il movimento del vino valdostano, dopo aver recuperato i vigneti e riorganizzato la produzione puntando sulla qualità, deve capitalizzare quest’interesse crescente associando al ciclo del “far bene” quello del “far conoscere bene quello che si fa”. I presupposti per vincere questa sfida ci sono tutti, e sono nelle mani dei giovani che hanno ripreso in mano le aziende di famiglia apportando nuove competenze ed energie. Basti considerare che la quota dei titolari di aziende del settore agricolo con meno di 30 anni è in crescita costante negli ultimi 5 anni (dal 4,7% al 7,2%) e molto superiore alla media nazionale (3,5%). Accompagnare e “dar fiato” a questo ritorno di interesse dei giovani per l’agricoltura rientra certamente nei compiti delle istituzioni locali. Nel settore della viticoltura esistono dei limiti molto vincolanti alla crescita della superficie vitata (1% annuo che per la Valle d’Aosta si traducono in solo 4 ettari) e bene ha fatto, di recente, la Regione Autonoma Valle d’Aosta a porre la questione di una rimodulazione della ripartizione attuale tra le regioni italiane. Certamente i mercati di sbocco per un eventuale aumento della produzione di vini di alta gamma non mancheranno: basti pensare alla crescita recente (2014-2016) del turismo valdostano nel segmento degli hôtel 5 stelle (+132% per gli stranieri, + 59% per gli italiani).
Marco Baldi, responsabile Settore Economia e Territorio Fondazione Censis, componente del Comitato scientifico della Fondazione Courmayeur Mont Blanc

La Fondazione Courmayeur Mont Blanc, in collaborazione con il Censis e l’Institut Agricole Régional di Aosta, ha promosso, nel biennio 2016-2017, un progetto sulla viticoltura di montagna, con la realizzazione della ricerca “Viticoltori di montagna: il racconto del vino valdostano e del docufilm Vignerons grimpants. La giovane viticoltura in Valle d’Aosta”, volto a testimoniare passioni e difficoltà dei giovani viticoltori di montagna valdostani. I risultati sono stati presentati nell’ambito di un Incontro dibattito svoltosi ad Aosta il 4 dicembre 2017 (per ulteriori informazioni: https://goo.gl/z2yuRZ).

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