Il bosco che frena le acque

23 dicembre 2020

Periodicamente, dopo ogni piccola o grande alluvione (fatto che nel nostro paese avviene purtroppo con una certa frequenza) si torna a parlare del contributo del bosco per la regimazione delle acque. Il tema nel nostro paese è di fondamentale importanza: secondo la mappa nazionale del dissesto idrogeologico, recentemente aggiornata da ISPRA il 10,4% della popolazione italiana (ed il 9% degli edifici) vive in aree a rischio di alluvione, il 2,2% della popolazione (ed il 4% degli edifici) vive in zone a rischio di frane, il 16,6% della superfice italiana è mappata ad alto livello di pericolosità ed il 91% dei comuni italiani sono interessati dal rischio idrogeologico. La funzione protettiva e di prevenzione dei fenomeni di dissesto idrogeologico svolta dalle formazioni forestali è riconosciuta in ambito normativo già a partire dal R.D.L. n. 3267 del 1923 – Legge Serpieri, che ha istituito il Vincolo idrogeologico. A distanza di quasi un secolo dall’istituzione di questo vincolo la superfice forestale e più che raddoppiata (Marchetti et al. 2018) ma il problema del dissesto è ancora attuale ed anzi sembra che stia peggiorando. Perché?
La ragione principale è legata al fatto che in questo secolo la popolazione italiana  è quasi raddoppiata (era 38 milioni di abitanti nel 1922) e le politiche di urbanizzazione e di costruzione di infrastrutture ed insediamenti degli ultimi decenni non ha tenuto conto del dissesto e del rischio idrogeologico. L’aumento dei danni e delle vittime (oltre 400 morti tra il 2000 ed il 2019) è legato quindi soprattutto alla “cementificazione” delle aree a rischio ma una quota di questo aumento è sicuramente dovuta all’abbandono della gestione dei bacini montani ed all’intensificazione (in termini di frequenza e di magnitudo) degli eventi meteorici (la “tropicalizzazione” del clima) legata al cambiamento climatico.
Ma in che modo la vegetazione, e la copertura forestale in particolare, agisce nel prevenire o mitigare il dissesto?
L’interazione tra la foresta ed il ciclo dell’acqua è funzione del contesto climatico e dipende sia dalla scala spaziale e temporale di analisi dei fenomeni e sia dalle caratteristiche della vegetazione forestale (Iovino et al. 2009). I processi attraverso i quali il bosco si interfaccia con le precipitazioni sono i seguenti (Zhang et al. 2017):
- l’intercettazione delle precipitazioni a livello delle chiome
- l’assorbimento a livello del suolo
- l’evapotraspirazione.
L’intercettazione consiste nella capacità del soprassuolo di catturare una parte delle precipitazioni prima che queste raggiungano il suolo. Quando le capacità di intercettazione sono saturate la frazione di pioggia non trattenuta dalla copertura forestale arriva al suolo direttamente o scorrendo lungo i rami ed i fusti (Levia et al. 2011). L’intercettazione varia con le caratteristiche del popolamento forestale e con l’intensità e la durata delle precipitazioni. Il potere di intercettazione diminuisce all’aumentare dell’intensità delle precipitazioni. L’infiltrazione rappresenta la quota di acqua di precipitazione che penetra nel suolo. Dell’acqua infiltrata una parte evapora, un’altra parte viene utilizzata dalla vegetazione ed un’altra parte va ad alimentare le falde idriche sotterranee. La quantità di acqua infiltrata dipende dalla morfologia del versante, dalle caratteristiche della vegetazione e, soprattutto, da caratteristiche del suolo (umidità iniziale, permeabilità e porosità, ecc.) e da durata ed intensità delle precipitazioni. L’acqua scorre in superfice invece di infiltrarsi quando la capacità di infiltrazione è saturata e, con eventi di forte intensità, la maggior parte delle precipitazioni tende a scorrere in superfice. L’evapotraspirazione, infine, rappresenta la quota di acqua che torna all’atmosfera dalla vegetazione sotto forma di vapore acqueo. La stima dell’evapotraspirazione rappresenta un aspetto importante del bilancio idrologico di bacino ma questo processo ha un ruolo limitato nel corso di eventi di precipitazione estremi. L’acqua che sfugge all’intercettazione, all’infiltrazione nel suolo e all’evapotraspirazione rappresenta il deflusso che scorre lungo i versanti ed è responsabile dell’erosione e, soprattutto, delle ondate di piena (Robinson et al. 2003). L’evento di piena si verifica quando abbiamo precipitazioni molto intense che si manifestano per un periodo di tempo sufficientemente lungo da saturare le capacità di ritenzione del bacino (intercettazione, assorbimento del suolo ed evapotraspirazione). Uno dei problemi nei confronti della percezione da parte dell’opinione pubblica è proprio questo aspetto: l’azione regimante della foresta è importantissima e fondamentale ma quando si verificano eventi meteorici eccezionali la capacità di ritenzione viene saturata. Anche in queste condizioni la foresta ha un importante ruolo di mitigazione in quanto può ritardare e ridurre la magnitudo dell’ondata di piena ma, nello stesso tempo, è però indispensabile la consapevolezza che la copertura forestale (indipendentemente da densità composizione, struttura e modalità di gestione) non può impedire le ondate di piena quando si verificano eventi di un certo tipo.


Dissesto in piccolo bacino laterale del torrente Cervo. Piedicavallo (BI).

Nel momento in cui si verificano questi eventi spesso viene anche chiamata in causa la vegetazione in alveo e ripariale. Questo è un argomento di estrema importanza e deve essere valutato con attenzione lungo tutto il corso d’acqua a partire dalla parte “torrentizia” in montagna e fino al settore “fluviale”.

In questi ambienti è indispensabile contemperare le esigenze di carattere idraulico-sistematorio, volte a garantire l’efficienza idraulica delle sezioni di deflusso, con quelle di naturalità in quanto la vegetazione lungo i corsi d’acqua ha un ruolo multifunzionale e, dal punto di vista naturalistico, rappresenta il più importante elemento delle reti ecologiche (Ebone et al. 2014).
La gestione della vegetazione ripariale a sua volta dipende da:
- zona del corso d’acqua (alveo, sponda, golena, versante).
- obiettivo prevalente (stabilità delle sponde, conservazione del patrimonio naturale, conservazione del paesaggio, produzione di legna)
- caratteristiche del corso d’acqua (torrente, fiume, ecc.).
In ogni caso il taglio deve essere di tipo selettivo e colturale, limitando la ceduazione ad ambiti specifici e il taglio raso a motivi di sicurezza.

I processi che provocano il dissesto idrogeologico sono, dal punto di vista ecologico, dei fenomeni naturali che avvengono anche in assenza della presenza dell’uomo. L’uomo, con la sua opera di utilizzo e modifica della destinazione d’uso del suolo, può accentuare questi processi e, nello stesso tempo, in un territorio densamente abitato come quello italiano, i processi di dissesto devono essere conosciuti, monitorati e presi in considerazione nella pianificazione territoriale (Andréassian 2004). In questo paesaggio culturale la gestione dei bacini montani e dei paesaggi agro-forestali svolge un ruolo di fondamentale importanza (Bettella et al. 2018) in quanto boschi  e territori che sono stati gestiti ed utilizzati per secoli da parte dell’uomo se sono abbandonati alla dinamica naturale non vanno incontro, se non su periodo di tempo lunghissimi, ad una “naturalizzazione” ma vanno incontro ad un “degrado”

che compromette l’erogazione di servizi ecosistemici tra cui la funzione di regimazione delle acque (Pepe et al. 2019). Se si interrompe la gestione e non si applica una corretta pianificazione del territorio  è inevitabile il verificarsi di “disastri” che definiamo “naturali” ma che in realtà hanno una forte componente di responsabilità da parte dell’uomo.
Infine non può essere trascurato il fatto che tutti gli scenari di cambiamento climatico di cui disponiamo prevedono un aumento della variabilità climatica interannuale e l’aumento della frequenza e della magnitudo di eventi climatici estremi. I cambiamenti climatici “aggravano una  situazione già complessa e intensificano pressioni sul territorio” rendendo il dissesto geo-idrologico una delle cinque priorità da affrontare a breve periodo (Spano et al. 2020).
Renzo Motta, Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali ed Alimentari (DISAFA), Università degli studi di Torino

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