Foreste e protezione del clima: non solo biomassa da bruciare

1 maggio 2012

Nell’ambito delle possibili risposte al cambiamento climatico ci siamo occupati, tra gli altri settori, anche di quello forestale. Quando si parla di foreste e tutela del clima viene spontaneo pensare alla biomassa forestale da sfruttare per produrre energia, e da qui si passa ai piani forestali, per capire se e fino a che punto sia vantaggioso tagliare una porzione di bosco a fini energetici. Spesso, soprattutto in quelle regioni dove non ci sono boschi di pregio o l’accessibilità a tali boschi è gravosa, l’antieconomicità dello sfruttamento forestale risulta evidente, tanto più se non si è in grado di realizzare un’intera filiera capace di generare legname di pregio e scarti da destinare alla combustione. Talvolta l’operazione rischia di diventare controproducente: è il caso del Piemonte, dove il regolamento forestale è concepito considerando erroneamente il legno quale risorsa abbondante, abbandonata e gratuita, e si mira a una deregulation che consenta uno sfruttamento intensivo dei boschi esclusivamente rivolto alla produzione legnosa di scarso valore.

La tendenza è quella di non considerare il fatto che il bosco svolge un ruolo chiave a livello di adattamento e per la protezione del clima. Il bosco accumula anidride carbonica nella biomassa e nel suolo, facendone uno strumento efficace per sottrarre all’atmosfera l’anidride carbonica emessa. La capacità di accumulare anidride carbonica dipende dalla vitalità e dalla crescita del bosco.
Quasi ovunque all’intero arco alpino l’eccessivo sfruttamento dei boschi nel corso dei secoli non ha permesso che si accumulassero scorte di legname con un popolamento vecchio consistente. Questo significa che il potenziale di crescita della maggior parte delle foreste alpine è enorme, così come la capacità aggiuntiva di accumulo di Co2. Anche il legno morto, in piedi e caduto, va aggiunto alla capacità di accumulo della Co2, e, al termine della decomposizione, contribuirà a ispessire lo strato di humus nel bosco. La protezione del clima non deve diventare un pretesto per intensificare la produzione di legname ai fini energetici. Pensando unicamente alla biomassa come materia da bruciare il rischio è quello di emettere inutilmente Co2 invece di accumularla nel bosco a lungo termine. Pertanto, in una sorta di “utilizzo a cascata” del bosco, il legname andrebbe in primo luogo usato come materiale da costruzione e materia prima, e solo gli scarti della lavorazione o i prodotti del legno non più utilizzabili sarebbero da destinare al riscaldamento.
Laddove il legname viene utilizzato, sarebbe preferibile se venisse prelevato dai boschi da aziende locali e, per quanto possibile, destinato ad altre aziende del posto che lo possano trasformare e commercializzare nella regione. Questo tipo di uso del legname favorisce i cicli economici chiusi, aumenta la creazione di valore locale e crea posti di lavoro. Le risorse rimangono nella regione e ne alimentano l’economia. Oltre a ciò si riducono le distanze dei trasporti, con conseguente riduzione dei costi del carburante e delle emissioni di Co2.
Contrariamente a quanto si pensa e purtroppo si sente affermare con sempre maggior frequenza, non è un dramma se a livello alpino una parte della superficie boschiva è destinata a uno sviluppo libero che tenga conto delle diverse associazioni forestali naturali: ciò serve a un maggior accumulo di Co2. I proprietari dei boschi che rinunciano a una parte dei ricavi e delle superfici a favore della protezione del clima e della natura, dovrebbero essere risarciti per il mancato guadagno, ma soprattutto per il loro contributo all’effetto “pozzo”; una forma di incentivo, come avviene per chi produce energia da fonti rinnovabili. In Italia un progetto pilota che ha lo scopo di promuovere un mercato dei crediti del carbonio per rafforzare le politiche riguardanti la lotta al cambiamento climatico è il progetto Carbomark, portato avanti dall’Università di Udine. Gli attuali sistemi di incentivazione dell’UE e della maggior parte dei Paesi alpini non offrono un risarcimento adeguato per questi casi. Ciò dovrà cambiare il più rapidamente possibile.
Francesco Pastorelli

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