Dalle valli alpine al palcoscenico globale

22 dicembre 2017

Tra gli obiettivi di AlpFoodway ci sono la produzione e la condivisione di una ricca e solida base di conoscenza sui saperi e le pratiche alimentari nell’arco alpino, a disposizione delle comunità locali in vista di una futura possibile candidatura della “foodway” alpina alla Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’umanità dell’Unesco.
Il concetto di “foodway”, molto in voga nel dibattito recente sull’identificazione, la protezione, la valorizzazione e la trasmissione dei saperi, può essere definito come l’insieme delle pratiche culturali, sociali ed economiche relative alla produzione e al consumo di cibo, che caratterizzano un territorio e un insieme di comunità umane.
La cultura del cibo è oggi presente nella Lista Unesco sotto diverse forme. Vi si trovano per esempio le tecniche di produzione di determinati alimenti particolarmente rappresentative per i rituali e i significati che vengono loro attribuiti da alcune popolazioni, come nel caso dell’”arte del pizzaiuolo napoletano”, di recentissima iscrizione. Altre volte, ad essere riconosciuto come patrimonio dell’umanità è il valore sociale e rituale del modo di preparare e consumare un pasto, come nel caso dell’”Oshi Palav tagiko” o del “pasto gastronomico francese”. Meno frequenti sono invece gli esempi di riconoscimento del valore culturale e sociale di un’intera “foodway”. Avviene per la “Dieta Mediterranea”, esempio di abitudini alimentari salubri e sostenibili, definita a partire dagli esempi significativi di sette comunità su entrambe le sponde del Mare Nostrum (in Italia l’esempio di massima espressione della dieta mediterranea è identificato nella “cucina cilentana”).

Al di là delle definizioni e dei tecnicismi, però, cosa succede quando un sapere viene riconosciuto come patrimonio immateriale dell’umanità in base alle regole e ai principi di un’entità tanto evocata da sembrare quasi astratta, come l’Unesco?
A differenza di quanto molti pensano, il riconoscimento Unesco (compreso quello più noto di patrimonio materiale dell’umanità, relativo ai cosiddetti “siti”), non porta a un territorio o a una comunità né fondi, né strumenti di protezione del patrimonio provenienti dall’esterno. L’Unesco attribuisce una sorta di marchio di qualità a un patrimonio che deve essere riconosciuto e protetto come tale dalle comunità culturali e territoriali a cui esso appartiene.
I vantaggi dell’iscrizione di una pratica culturale nella Lista del patrimonio immateriale dell’umanità non sono comunque pochi. A partire dal percorso verso la candidatura, che nei casi più virtuosi porta i gruppi umani che custodiscono e praticano i saperi a interrogarsi sul loro valore e a coinvolgere il resto delle comunità nella presa di coscienza del proprio patrimonio. Il riconoscimento illumina poi il patrimonio locale con le luci dei riflettori internazionali, che da un lato rendono meno probabile che certi saperi si perdano col tempo, dall’altro pongono le basi per una possibile loro valorizzazione in ottica economica e turistica.
Non mancano naturalmente possibili rischi di un percorso di patrimonializzazione del sapere immateriale legato al cibo, la sua cristallizzazione intorno a una definizione troppo rigida e poco attenta all’evoluzione della società e della cultura, la non rappresentatività del patrimonio riconosciuto dall’Unesco dei valori che le popolazioni sentono come propri, o l’appropriazione di saperi e pratiche da parte di soggetti esterni alle comunità che li custodiscono.
L’approccio che AlpFoodway sta applicando nel suo percorso di identificazione, racconto e valorizzazione del patrimonio culturale alimentare alpino parte dalla consapevolezza di questi rischi, affrontati attraverso il continuo rapporto con esperti del tema (antropologi, giuristi, ecc.) e soprattutto tramite il coinvolgimento attivo delle comunità locali, principali protagoniste di tutte le attività sul campo dei partner del progetto.
Giacomo Pettenati

info: www.alpine-space.eu/projects/alpfoodway/en/home

Commenti: 1 commento

  1. claudio scrive:

    che il percorso sia come l’ha descritto lei.. ho dei dubbi.
    non vedo il lavoro di coinvolgimento delle comunità locali.. piuttosto vedo un impegno dei “soliti noti” nel lavorare al progetto con conseguente gestione del budget.
    ma se vuole ci si può spiegare più a lungo….

    saluti

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