Chilometro zero 100% sostenibile

11 novembre 2019

In Valle d’Aosta, si racconta che un tempo la segale in alcuni luoghi si coltivava fino a 1800 metri di altitudine. Nella zona dell’Orsiera, in Piemonte, attorno ai 1400 metri le valli sono punteggiate di caseggiati diroccati, che si raggiungevano solo a piedi. Qui come altrove, lo spopolamento e l’abbandono delle aree rurali più isolate è stato inesorabile a partire dal secondo dopoguerra. Solo tra il 1980 e il 2000 nelle Alpi il 7,6% della superficie coltivata è stata abbandonata. I terreni che permettevano una lavorazione meccanizzata sono stati acquistati dalle aziende più grandi e solide, mentre 287.000 piccoli agricoltori nel 2000 semplicemente non esistevano più (Streifeneder et al. 2007).
Assieme all’abbandono dell’agricoltura di montagna e all’adozione di un modello industriale in valle, vengono abbandonati i saperi, le tecniche di produzione e i riti legati al consumo del cibo; si perdono sapori unici, cambiano i paesaggi e mutano la loro identità. La vita sociale e l’identità delle comunità ne è impoverita sia dal punto di vista culturale sia economico, perché tutto questo rappresenta una risorsa anche in chiave turistica. Che l’agricoltura tradizionale montana non possa competere con quella intensiva dei grandi gruppi è un fatto, come è un fatto che i piccoli agricoltori non hanno la forza per sopportare i prezzi imposti dalla grande distribuzione né la possibilità di aderire con costanza agli standard che questa richiede. Ma i frutti che in montagna faticosamente crescono hanno il più delle volte caratteristiche superiori a quelle delle coltivazioni intensive di pianura e racchiudono dei valori che, oggi, il consumatore è capace di apprezzare. L’unico modo per poter generare reddito è dunque, da un lato, comunicare efficacemente la diversità del proprio prodotto, legandolo al territorio, alle materie prime e alle tecniche produttive utilizzate e, dall’altro, trovare canali di distribuzione alternativi alla filiera lunga.

Chilometro 0
La filiera corta, più conosciuta come “chilometro zero”, è una soluzione per la sopravvivenza dell’agricoltura di montagna che aiuta a preservare le risorse culturali e ambientali del territorio, rispondendo allo stesso tempo ad alcune istanze che molti consumatori occidentali esprimono con sempre maggiore forza: il bisogno di esprimere i propri valori attraverso l’acquisto e contribuire con esso a influenzare l’evoluzione del mondo che li circonda. Sono persone che spesso rifiutano, in tutto o in parte, le logiche della grande distribuzione, sono attente alle produzioni di territorio e non di rado mostrano diffidenza rispetto all’industria alimentare. L’idea di acquistare a chilometro zero, facendo bene all’ambiente, al produttore, alla montagna e alla propria salute motiva queste persone. Non per tutte il prodotto del piccolo agricoltore di montagna diventerà cibo quotidiano, naturalmente. In base alle proprie possibilità economiche e alle proprie priorità alcuni consumatori sceglieranno il mercato della terra, altri il mercato rionale o il gruppo d’acquisto o l’acquisto in azienda; alcuni acquisteranno solo prodotti alimentari a chilometro zero, altri ne utilizzeranno solo alcuni, per alcuni saranno prodotti speciali da regalare o da gustare nei momenti di festa. L’agricoltore dovrà dunque conoscere i propri clienti e proporsi alle diverse tipologie nel modo di volta in volta più efficace.
Una delle occasioni in cui con maggior frequenza si acquistano i prodotti del luogo pagando volentieri qualcosa in più è durante i viaggi. Il souvenir alimentare è un modo per portare a casa qualcosa del territorio che si è visitato e assaporare di nuovo, per un momento, il gusto della vacanza. Sempre di più, inoltre, nel viaggio le persone cercano di entrare in contatto con il territorio anche con esperienze legate al cibo, cosa che offre anche opportunità per diversificare l’attività. Il modo migliore per generare esperienze coerenti e appaganti rivolgendosi a un pubblico attento alla sostenibilità è lavorare in questo senso a livello di territorio. La ricerca sul marketing collettivo del progetto AlpFoodway propone alcuni esempi in cui questo approccio ha fatto il successo di piccole realtà.

100% Valposchiavo
In Valposchiavo, un’iniziativa che ha cambiato la faccia del territorio è quella messa in piedi dalla Regione Valposchiavo e oggi basata sulla collaborazione dell’Ente Turistico Valposchiavo con le associazioni degli agricoltori, degli artigiani e dei commercianti: 100% Valposchiavo. L’idea è stata costruire un marchio collettivo che unisse tutti i prodotti fatti in valle con materie prime provenienti da questa piccola valle alpina. A 100% Valposchiavo è stato poi affiancato il marchio Fait Sü in Valposchiavo, che riguarda i prodotti fatti in Valposchiavo con materie prime in parte provenienti anche da altri luoghi, a condizione che il valore aggiunto sia al 75% generato in valle. Il successo di questo progetto ha spinto la comunità locale a caratterizzarsi ancora di più come una valle sostenibile, puntando anche al 100% bio, lavorando in un’ottica smart e di sostenibilità energetica e rifiutando con decisione recenti offerte di scambio provenienti dalla vicina Valtellina, che avrebbero portato un aumento del traffico veicolare nel momento di maggiore richiamo turistico per questa valle. In chiave di sviluppo di un turismo sostenibile, 100% Valposchiavo è poi diventato anche un modo per creare una rete tra le attività di produzione alimentare e quelle turistico-ricettive, tanto che 13 ristoranti della valle oggi hanno aderito alla carta 100% Valposchiavo e hanno scelto di dare ai prodotti locali un posto speciale nel loro menù offrendo almeno tre piatti realizzati interamente con ingredienti locali. Non solo: grazie al coordinamento dell’Ente Turistico Valposchiavo il progetto ha stimolato le aziende agricole e di trasformazione alimentare ad attrezzarsi per accogliere i visitatori offrendo visite guidate, mini-corsi ed altre esperienze legate alla tradizione alimentare locale.

Qualität Achental
Un altro esempio è quello dell’associazione bavarese Ökomodell Achental e.V., fondata nel 1999 per far fronte alle difficoltà dei piccoli agricoltori e contrastare lo spopolamento delle aree rurali della regione pre-alpina dell’Achental. Le prime attività dell’associazione, cui partecipano 9 comuni e 70 agricoltori, furono consulenze individuali alle aziende agricole per favorirne la diversificazione e orientamento verso il biologico; per dar forza ai piccoli agricoltori del territorio fu creato il marchio collettivo Qualität Achental, che certifica prodotti di diverso tipo, garantendo la provenienza delle materie prime e la lavorazione sul territorio ed è basato su criteri definiti congiuntamente dai soci. Il marchio accoglie prodotti biologici, biodinamici e da agricoltura estensiva. Da subito, questo ha dato grande impulso ad un’agricoltura più sostenibile: solo nei primi cinque anni di vita dell’associazione, dal 1997 al 2002, la superficie dedicata ai pascoli estensivi è aumentata del 37% e gli agricoltori certificati da “Naturland” (agricoltura biologica) o “Demeter” (agricoltura biodinamica) sono passati da 9 a 45.
Oggi, Ökomodell Achental e.V. presidia lo sviluppo locale in chiave sostenibile offrendo occasioni di formazione, fornendo una spremitrice per frutta e due macchine per mettere gli alimenti sotto vuoto a uso di tutti gli associati, facilitando i contatti tra agricoltori, trasformatori e ristoratori e tra produttori locali e alcune catene distributive, sviluppando occasioni di vendita diretta, curando la comunicazione e fornendo strumenti di informazione per consumatori e turisti.
Queste attività hanno contribuito a rafforzare parallelamente l’immagine del prodotto della regione sia internamente che esternamente e l’orgoglio dei produttori locali aumentando il senso di solidarietà e condivisione soprattutto tra gli agricoltori delle generazioni più giovani.
Se, come spesso avviene, inizialmente Ökomodell Achental e.V. ha dovuto scontrarsi con scetticismi e qualche passo falso, ben presto l’iniziativa ha cominciato a produrre effetti positivi anche in termini economici per i produttori: nel 2002 l’associazione ha stimato che attraverso la conversione al biologico in media le aziende produttrici di latte della regione hanno aumentato i loro profitti di 5.250 Dm (circa 2.750 Euro) l’anno. E in una catena di supermercati della regione, la pasta prodotta con grano locale viene oggi venduta a un premium price di 3-4 Euro su un prodotto analogo di noti marchi tedeschi.

Gli ingredienti del km 0
Perché l’adesione alla filiera corta determini impatti positivi a tutto tondo come quelli di Achental e Valposchiavo è necessario ottenere l’adesione di buona parte del territorio a questo modello. Per farlo è fondamentale che le istituzioni locali si facciano protagoniste convinte nel sostenere l’iniziativa del territorio in questo senso, fungendo da catalizzatori di energie positive e cooperando con le associazioni e le aziende private. È necessario dotarsi di strutture snelle ma efficienti che siano in grado di superare la frammentazione di risorse e azioni per portare avanti una narrazione coerente con risorse adeguate. È importante che il modello di azione sia partecipativo, pronto ad ascoltare le istanze degli agricoltori, dei trasformatori e di tutti gli imprenditori coinvolti ma che sia allo stesso tempo capace di difendere la credibilità del proprio messaggio, escludendo le situazioni che con esso contrastano. La scelta di cosa includere e cosa no può essere frutto di discussione e dinamiche interne, ma bisogna tener presente che questa influenzerà il territorio a molteplici livelli. Potrà stimolare gli agricoltori e gli altri soggetti del territorio a investire in misura maggiore o minore su metodi più rispettosi dell’ambiente, a proteggere il paesaggio o a utilizzarlo in maniera poco sostenibile, a rendere la propria valle un posto dove è bello vivere o un posto da cui si vuole fuggire. Questo determinerà la percezione che di essa avranno gli abitanti e i turisti, favorendone uno sviluppo sostenibile o rafforzando i fenomeni negativi che per troppo tempo hanno caratterizzato le nostre montagne.
Marta Geri

Streifeneder T, Tappeiner U, Ruffini F, Tappeiner G, Hoffmann C (2007) Selected aspects of agro-structural change within the Alps. J Alp Res 95:41–52

www.alpfoodway.eu

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