A bitter story

9 dicembre 2016

Barge e Bagnolo sono due piccoli comuni ai piedi delle Alpi, in cui da secoli l’attività principale è l’estrazione della pietra e in cui, dalla fine degli anni Novanta, è presente la seconda comunità cinese d’Europa. È qui che per i ragazzi cinesi inizia un altro anno scolastico, con la stessa incertezza rispetto al futuro, ma con una novità: un laboratorio teatrale ideato e realizzato per loro.

«Diversamente da ciò che pensiamo – racconta la regista Francesca Bono -, la comunità cinese è poco compatta e strutturata. Non esistono gruppi d’interesse, attività ricreative o culturali. Sono nuclei familiari che si relazionano a seconda delle necessità. Questo limbo vede gli adolescenti come interpreti di una doppia frizione: nei confini della comunità, vivono lo scontro con i retaggi delle origini, rappresentate dai genitori, che impongono una visione severa e antiquata della vita senza lasciare spazio al confronto; nell’ambito del contesto d’adozione, invece, faticano a fare propri quegli strumenti di interpretazione e interazione con la realtà, fondamentali per una consapevole affermazione delle proprie potenzialità. Per affrontare il documentario ho scelto di compiere un atto di coraggio: abbandonare il punto di vista dell’adulto in termini di sintesi concettuale e di sguardo. Ho deciso di affrontare il lavoro partendo da un laboratorio di media education, in collaborazione con il Consorzio Monviso Solidale finalizzato alla creazione di uno spettacolo teatrale, realizzato con Progetto Cantoregi: un investimento in termini di tempo, un percorso di avvicinamento attraverso cui indagare la realtà oltre la superficie per trovare la giusta distanza dall’oggetto dell’indagine, calarsi nell’immaginario dei protagonisti nel tentativo di assumerne lo sguardo, scegliere la prospettiva da cui osservare situazioni animate da piccole e apparentemente insignificanti azioni umane. E’ stato importante ripulire lo sguardo dagli stereotipi, fino a tratteggiare un ritratto più consapevole dei personaggi ed offrire ulteriori chiavi di lettura. Cogliere ed esaltare le sfumature emotive dei protagonisti, eroi tragici, in un processo interiore che non ha parole perché non ha né una lingua né una cultura di riferimento».

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