11-13 maggio: l’immigrazione nelle Alpi a Salecina

2 giugno 2017

Salecina (www.salecina.ch) è un luogo autogestito di formazione, studio e vacanza nelle Alpi engadinesi, al confine con l’Italia e a pochi km da St. Moritz. Fondata nel 1972 da esponenti del movimento operaio e pacifista svizzero, recuperando un’antica fattoria del XVII secolo, è stata frequentata, tra gli altri, dal filosofo Herbert Marcuse e dall’architetto e scrittore Max Frisch, diventando nel tempo un laboratorio di convivenza civile, di turismo sostenibile e di ricerca collettiva rivolta a stili di vita eco-compatibili.
Queste sue caratteristiche, unite alla collocazione di frontiera (poco più in alto si trova il Passo del Muretto, da dove transitarono centinaia di profughi politici e perseguitati ebrei durante il secondo conflitto mondiale) rendono Salecina uno dei posti più interessanti per tenere un seminario di studio sul tema dell’immigrazione straniera nelle Alpi. E qui infatti si sono riuniti ricercatori, studiosi, esponenti di ong e operatori dei media, per una tre-giorni residenziale, gli scorsi 11, 12 e 13 maggio. I partecipanti all’incontro sono arrivati da Italia, Austria e Svizzera, aderendo ad una proposta che veniva da un primo gruppo organizzatore, composto, oltre da chi scrive, da Manfred Perlik (Università di Berna), Ingrid Machold (Istituto per lo sviluppo delle aree montane svantaggiate, Vienna) e Andrea Tognina (Fondazione Salecina).
L’idea di tenere questo seminario derivava da precedenti convegni sul tema dell’immigrazione straniera nelle Alpi, focalizzati tanto sul più recente fenomeno dei rifugiati, quanto su quello consolidato della “migrazione economica”. Un primo incontro nazionale si era infatti già svolto a novembre del 2015 a Milano, all’Università Bicocca (guarda il numero speciale di Dislivelli) mentre un secondo momento di confronto, questa volta internazionale, era avvenuto a ottobre del 2016 in Baviera, in occasione dell’Alp Week (nell’ambito della sessione “Immigration as an opportunity for Alpine regions?”, dedicata ad indagare le opportunità e le sfide per le regioni alpine marginali rispetto allo sviluppo di una cultura dell’accoglienza). (Guarda l’articolo relativo all’Alp Week).


Il seminario di Salecina è stato finalizzato innanzitutto a fare il punto sulla situazione complessiva dell’immigrazione straniera e dell’accoglienza dei rifugiati nelle regioni alpine di Italia, Austria e Svizzera, mettendo a confronto dati statistici, problematiche locali, politiche nazionali e regionali. Dal confronto internazionale sono emerse significative differenze nei quadri normativi e nelle variabili strutturali che caratterizzano i diversi Paesi alpini, a fronte di una crescita generalizzata della popolazione straniera e, recentemente, di quella dei profughi, nelle zone montane. Sul versante socio-demografico, l’ampia presenza di “vuoti sociali” che caratterizza molte zone alpine italiane (e che può favorire, a certe condizioni, l’inserimento di nuovi abitanti stranieri) non ha paragone in Svizzera, il cui territorio montano è ancora fortemente antropizzato e, comunque, non soggetto a forme di abbandono; in Austria, invece, sono solo alcune regioni (quali la Stiria) a subire un forte calo demografico e una conseguente rarefazione sociale.
Dal lato invece delle politiche e delle norme, se in Austria, per esempio, i richiedenti asilo non sono autorizzati a svolgere lavori retribuiti, non è così oggi in Italia, laddove la Svizzera mostra peculiarità a livello cantonale. Anche i tempi di attesa per il riconoscimento dello status di rifugiato variano a seconda della nazione (restando comunque di molti mesi), mentre in tutte e tre è diffuso il collocamento dei migranti in zone montane e interne, spesso anche a quote elevate e fuori dai centri abitati (è il caso soprattutto della Svizzera, che ha avuto situazioni eclatanti di “accoglienza” dei profughi persino in ex bunker militari, a più di 2.000 metri di altitudine). In tutti i Paesi, però, grazie alla mobilitazione del terzo settore, si rileva un comune sforzo sul versante della formazione dei migranti, per favorirne l’inclusione sociale e professionale, tramite corsi e laboratori, solitamente gestiti da cooperative sociali e associazioni, con una diffusa partecipazione di volontari. I soggetti del non profit appaiono protagonisti nei tre stati alpini anche rispetto alla gestione diretta dell’accoglienza, sulla base di bandi e assegnazioni provenienti dai governi centrali: in questo caso, però, unitamente alle molte buone pratiche alpine, si segnalano purtroppo altrettante iniziative di tipo essenzialmente lucrativo, nell’ambito di un vero e proprio business dell’ospitalità.
Grazie alla partecipazione al seminario di diversi esponenti di organizzazioni che praticano invece una “buona accoglienza” dei migranti in zone montane, sono state analizzate e discusse alcune buone pratiche, tutte centrate sul ruolo attivo che viene attribuito ai richiedenti asilo rispetto al territorio che li ospita. Dalla cura del bosco alla sistemazione dei sentieri, dall’inserimento in percorsi professionalizzanti alla creazione di momenti di scambio con le comunità locali: in Austria, Svizzera e, particolarmente, in Italia gli enti virtuosi appaiono quelli in grado di coinvolgere i migranti nello sviluppo locale, evitando che restino posteggiati per mesi in montagna, senza svolgere alcuna attività e facilmente esposti a forme depressive, oltre che all’ostilità delle popolazioni residenti nei comuni interessati.

Il confronto sul piano teorico-metodologico ha poi fatto emergere alcune dimensioni del tema migratorio in ambito alpino, correlate ad altrettante domande di ricerca. Innanzitutto è da approfondire come la specificità montana entri in gioco rispetto all’accoglienza dei migranti, ovvero: la montagna ha una sua via verso l’inclusione sociale degli stranieri, diversa rispetto alla pianura e alle città? Come il fattore montano (tipo di insediamenti, demografia, economie locali, verticalità, ecc.) può essere utilizzato in modo positivo, per favorire la permanenza in loco degli immigrati? E come valorizzare in questo senso le specificità nazionali dei vari Paesi alpini? In secondo luogo, se i neo residenti sono la principale risorsa su cui investire per rilanciare le terre alte in crisi, quali strategie sono necessarie per trasformare almeno una parte degli stranieri in nuovi montanari? E, non da ultimo, data la varietà di politiche adottate nell’arco alpino rispetto al tema migratorio, come mettere a sistema le conoscenze e le esperienze maturate dalle buone pratiche di accoglienza, presenti in Austria, Italia e Svizzera? Si può pensare ad una rete internazionale degli attori non profit, in grado di influenzare queste politiche, a partire dalla valorizzazione dei propri risultati e delle proprie competenze?
Dato l’orientamento fortemente empirico del seminario, si sono poi discusse le possibili future linee progettuali, volte ad includere socialmente ed economicamente i migranti nelle aree montane e a valorizzarne la presenza in termini di sviluppo locale, cura del territorio e resilienza delle comunità montane. Il nesso tra accoglienza e formazione/lavoro è risultato centrale in qualsiasi progettazione, anche in relazione ai contenuti delle varie call a livello europeo, quali Alpine Space e Interreg in genere. In questo senso, i partecipanti hanno stabilito di avviare collaborazioni comuni nei prossimi mesi, con l’obiettivo di presentare alcune proposte progettuali rispetto ai prossimi bandi di finanziamento a livello internazionale, facendo leva proprio sull’alleanza tra attori non profit e ricercatori/accademici.
Durante la tre-giorni di Salecina, nella serata del 12 maggio, si è inoltre tenuto un incontro pubblico, presso il centro polifunzionale del comune di Bregaglia (al passo del Maloja), per discutere con i cittadini e gli stake-holder della regione ospitante i temi in agenda. La serata è stata occasione per mettere alla prova le riflessioni sviluppate tra gli operatori del settore rispetto alle opinioni e al sentire di chi vive in una vallata alpina. Il confronto è stato vivace, grazie anche alla presenza del sindaco Anna Giacometti, da tempo ispiratrice di una maggiore apertura della valle rispetto all’esterno. Se c’è stato chi ha avanzato proposte radicali (ad esempio, destinare il più grande albergo della zona, oggi in disuso, all’ospitalità dei richiedenti asilo), alcuni dei cittadini presenti hanno espresso dubbi e perplessità circa l’accoglienza di migranti nel proprio territorio, riassumibili in una frase detta da una anziana partecipante: «Noi siamo una valle benestante. Siamo pochi ma tutto sommato stiamo anche bene così. Perché dovremmo accogliere degli stranieri?».
Il seminario si è concluso sabato 13 maggio, con una escursione collettiva al laghetto del Cavlocc, sotto il Passo del Muretto, ancora abbondantemente innevato: qui lo storico Andrea Tognina ha raccontato di Ettore Castiglioni, l’alpinista che durante l’ultima guerra aiutava i perseguitati dal regime a passare in Svizzera. Ma prima della camminata, come di prammatica in una casa autogestita, i partecipanti hanno svolto le pulizie, sistemato le stanze e riordinato gli spazi comuni in cui, per tre giorni, avevano discusso, cucinato, visto film (tra cui il bel documentario “All’altezza dello sguardo”, dei comaschi fratelli Fontana) e vissuto un’esperienza di condivisione, di accoglienza reciproca.
Il prossimo appuntamento è per il 2018, con un nuovo incontro seminariale e con l’obiettivo di allargare la rete anche agli altri Paesi alpini non ancora coinvolti: intanto ci sono in cantiere un libro in inglese, alcune pubblicazioni a livello nazionale e la prosecuzione dello scambio di dati, buone pratiche e idee progettuali.
Il confronto è aperto, come vorremo che fossero anche le frontiere.
Andrea Membretti

Hanno partecipato al seminario ricercatori e operatori provenienti dalle seguenti organizzazioni: Università di Pavia (It); Dislivelli (It); Federal Institute for Less-Favoured and Mountainous Areas (At); Foundation for sustainable development in mountain regions (Ch); Eurac Research (It); PaceFuturo associazione (It); Nisida coop. soc. (It); Università di Berna (Ch); Università della Calabria (It); Convenzione delle Alpi – InfoPoint di Morbegno (It); Haute Ecole de Travail Social (Ch); Cadore coop. Soc. (It); Parrocchia di Rebbio (It); Euricse (It); Università di Innsbruck (At); Fondazione Edmund Mach (It); Regional Development Agency of Vorarlberg (At); Caritas Sondrio (It).
Il seminario è stato parzialmente finanziato dalla Fondazione Salecina e dalla Compagnia di San Paolo; è stato inoltre ottenuto un contributo dal Cantone dei Grigioni (Ch), finalizzato alla pubblicazione di un volume, contenente gli atti dell’incontro, che verrà pubblicato entro il 2018.
Si ringrazia vivamente Claudio Fontana per il servizio fotografico.

Rassegna:
Intervista su RSI – Rete Due della Svizzera Italiana dell’11 maggio 2017
Intervista su Radio Popolare del 9 maggio 2017 (dal minuto 9)
Articolo su “Il Bernina” del 19 maggio 2017

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