A partire dal 2011, su idea del professor Matteo Puttilli, il corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria dell’Università di Torino (Facoltà di Filosofia e Scienze dell’Educazione – DFE) progetta laboratori residenziali di Geografia presso il centro ecumenico Àgape, a Ghigo di Prali, in alta Val Germanasca.

Il gruppo di lavoro attualmente comprende il professore ordinario Cristiano Giorda e i docenti titolari Alberto Di Gioia, Paola Gino, Elena Mason. Questi laboratori sono residenziali perché partono da uno spirito: creare una piccola comunità in quasi tre giorni di vita condivisa, relazionata alle caratteristiche della montagna e del luogo che ospita.

Durante il corso degli anni, molti sono stati gli appuntamenti, interrotti solo dal periodo pandemico da Covid-19, come molti sono stati i conduttori che si sono succeduti nel tempo e che hanno dato impronte differenti, ma la base da cui si è sempre avviata la progettazione delle attività è la relazione con il significato forse più profondo del vivere montano del centro ecumenico di Àgape.

I valori sono al centro del progetto. Per chi non lo conoscesse, Àgape è stato edificato in autocostruzione da persone e tecnici provenienti da numerosi Paesi d’Europa, come simbolo di socialità e pace dopo il secondo conflitto mondiale. Come rappresentazione della più profonda essenza della socialità umana – l’amore disinteressato, appunto l’Àgape, dal greco antico. All’interno si vive con il medesimo orientamento di socialità che ne ha caratterizzato la fondazione: in collaborazione, apertura, solidarietà rispetto degli altri e coinvolgimento in pratiche di vita attiva, nello stesso spirito che ha incarnato storicamente la cultura valdese di quelle valli, che coinvolse interamente già Charles Beckwith. Il luogo offre un diverso respiro a chi vi soggiorna, anche in senso fisico, influenzato proprio delle tradizioni culturali di questa comunità. A partire dal grande senso di inclusione, apertura all’altro, rispetto reciproco nei confronti delle differenze, accoglienza e fiducia estrema (le porte del centro sono sempre aperte), forte senso della comunità.

L’intento è quindi progettare da qui, dalla messa in pratica e la sperimentazione di questo orientamento, i percorsi dei processi educativi dei futuri insegnanti. Il luogo che lo accoglie, la magnifica ed ospitale struttura di Àgape, è esso stesso un tramite per sviluppare la percezione di questa relazione tra uomo e ambiente montano. Il centro è immerso nel paesaggio, ne fa parte in modo intrinseco, a livello di isoipse – ne segue l’andamento sul versante -. Ed è costruito in modo che tutto indichi apertura, verso gli altri, verso il cielo, in un dialogo continuo tra il “fuori” e il “dentro”, in modo che lo sguardo di chi è all’interno si perda nel “fuori”. Gli spazi sono progettati per la vita comunitaria, che è la parte fondante dell’idea del luogo.

Il contesto montano, alle altre scale, non è secondario: anzi, è altrettanto parte integrante. Le attività partono infatti da pratiche di riflessione intorno allo spazio personale, psicogeografico, e orientate allo spazio soggettivo, per svilupparsi progressivamente intorno allo spazio circostante, ma anche allo spazio vissuto, ai punti di vista degli altri, dell’ambiente, degli altri esseri viventi, della Terra.

Gli studenti che partecipano al laboratorio sono invitati a fare parte di questa piccola comunità che risiede nel centro, ma ancor prima di formare una piccola comunità che si presenta con regole legate al rispetto reciproco e del luogo. Durante la permanenza gli studenti costruiscono un “senso” del luogo, attraverso pratiche di condivisione di regole e attività che richiedono la profonda immersione e partecipazione totale, partono dalla percezione “del sé” e poi “del noi”, che mira a destrutturare gli stereotipi di chi vede la montagna come luogo lontano, prettamente “ludico”, con “buone” tradizioni legate al cibo o all’aria pulita, da sfruttare ai fini turistici.

Durante il laboratorio, che si svolge nelle tre giornate a partire dal venerdì pomeriggio, si presentano quindi agli studenti che partecipano tematiche relative all’educazione geografica, utilizzando metodologie didattiche che poi gli studenti possono riproporre nelle classi in cui insegneranno in futuro. Verranno però vissute ed esperite in prima persona – non si fanno corsi né teoria: attività necessarie, ma che si svolgono nel corso teorico di Fondamenti e Didattica della Geografia che tiene il professor Giorda nelle sedi di Collegno (To) e Savigliano (Cn). Lì lo scopo è un altro. I laboratori sono incentrati sul tema delle relazioni geografiche territoriali montane, col fine di creare un forte senso di comunità e appartenenza tra i partecipanti. Durante i tre giorni di permanenza gli studenti sperimentano la propria relazione con il luogo, si connettono ad esso attraverso pratiche di geografia emozionale, lo immaginano, lo esplorano, parlano con chi lo abita, fanno interviste, mappature, ne intuiscono le potenzialità e i limiti per risorse a disposizione e lo raccontano ricercando dati, disegnando mappe, rappresentazioni, carte soggettive sperimentando metodologie ludiche e avviando discussioni e dibattiti.

Non meno, all’ultimo giorno, una riflessione approfondita e condivisa – testi alla mano – della estesissima letteratura per l’infanzia – non tutta così coerente intorno ai temi educativi – intorno ai temi della montagna, della comunità, della diversità, dell’ambiente. Qui si sperimenta la lettura drammatizzata da praticare già nell’infanzia. Si costruiscono teatri geografici. Si ragiona intorno ai metodi che serviranno per portare i bambini, già cittadini, dentro a tutti questi temi. Partendo dalle emozioni.

Queste le parole inviate via mail da uno studente che ha partecipato al laboratorio durante il mese di aprile 2023: “In questo momento faccio fatica a dare un ordine a quanto sto scrivendo: l’esperienza di Prali è troppo per essere espressa in poche righe. Non è facile sistematizzare tre giorni di emozioni, parlare delle relazioni e degli scambi che si sono creati, esprimere la bellezza del paesaggio in cui eravamo immersi (nonostante il maltempo), dire qualcosa a proposito della realtà autentica che, per la prima volta in veste di alunno, ho avuto modo di approcciare grazie a questa esperienza. È stato proprio così: il laboratorio ci ha chiesto di metterci in gioco al 100% e questo è stato il suo tratto distintivo, che ci ha permesso di studiare la realtà non a partire da manuali o concetti teorici, ma da come questa si presenta nei fatti e partendo da noi stessi. Nessun’altra lezione universitaria o laboratorio in sede ne è all’altezza. Nemmeno i più interessanti e accattivanti che provano a mettere in pratica le teorie dei pedagogisti e dei didatti più noti. In questi tre giorni ho potuto toccare con mano che la geografia è molto più di uno studio mnemonico delle capitali, del numero di regioni che compongono l’Italia, delle filastrocche per imparare la partizione delle Alpi. È un tentativo di parlare della realtà nella sua complessità, provando ad includere più variabili possibili tra le infinite che ne esistono; è emozione; è interrogarsi a fondo sui fenomeni naturali, sugli interventi dell’uomo e sulle conseguenze, portando a galla la nostra piccolezza rispetto all’immensità della natura. Se dovessi dire che cosa mi ha lasciato questo laboratorio, direi proprio questo: guardare con occhi diversi la geografia, con la consapevolezza che non è la disciplina che preferisco ma di cui, finalmente, riconosco la fondamentale importanza per la formazione di una persona che sappia stare al mondo”.

È capitato anche di incontrare studentesse e studenti che avevano svolto questi laboratori anni fa, o molti anni fa. Ora tutti insegnanti ben avviati, nel loro percorso. E che dicessero: “è la cosa che mi è rimasta di più, dei miei studi”, o dell’università.

È capitato anche che qualcuno piangesse ai commiati finali, dove si tirano le fila, si chiude il percorso di luogo – ma si apre quello di mondo.

Meno comunità – più community. Scriveva Aime nel 2019.

Sembra un motto essenziale nelle professioni educative. Dove è possibile esperire e modellare progetti di Àgape, di amore-di-mondo, in cui la montagna può assumere un ruolo culturale ed ambientale – come laboratorio. Per portarne l’utilità nelle scuole, nei figli, nella trasformazione del mondo.

Alberto Di Gioia, Paola Gino