Riace: il modello che fa paura

11 settembre 2018

Riace è un modello virtuoso. La prova che l’accoglienza in Italia, con tutto il suo arsenale ministeriale e prefettizio, disordinato e irrazionale, può diventare il motore della rinascita dei luoghi abbandonati, dei paesi spopolati e dimenticati, delle terre marginali espulse da un sistema economico spietato, capace di cancellare le nostre radici. E questo per i territori montani, che con Riace condividono l’abbandono e lo spopolamento, è una buona notizia. Ma allo stesso tempo per chi utilizza la potente arma della “paura dello straniero” per catalizzare consenso intorno alle proprie idee, il Modello Riace è pericoloso, perché dimostra che un’accoglienza ben gestita non solo è possibile, oggi, in Italia, ma può anche diventare un motore di ripresa dei luoghi dimenticati. Ed è per questo, probabilmente, che oggi il modello di accoglienza di Riace è “sorvegliato speciale”, con 8 controlli effettuati dal Ministero e dalla Prefettura nell’ultimo anno e mezzo e il suo responsabile, l’attuale sindaco e artefice indiscusso del progetto Domenico “Mimmo” Lucano, indagato con l’ipotesi di “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ai danni dello Stato e dell’Ue, concussione e abuso d’ufficio”.

Ho avuto la fortuna di conoscere Mimmo Lucano nel lontano 2003, inviato per il glorioso periodico Volontari per lo Sviluppo, il giornale della cooperazione italiana (https://goo.gl/HchYw7). Allora lui non era ancora sindaco, e il suo progetto non era ancora balzato ai meritati onori della cronaca, ma capii immediatamente che la grande storia della piccola Riace avrebbe fatto scuola in Italia, per quella sua spontaneità nell’accoglienza che partiva dalle radici di un luogo, dall’idea di recupero di un paese abbandonato che aveva subito le stesse sorti di quelli del “Mondo dei vinti” narrato da Nuto Revelli, con i suoi abitanti in fuga verso la Fiat di Torino, le opportunità lavorative a Roma o un futuro in paesi stranieri. Ci sono tornato quest’estate del 2018, ancora accolto calorosamente da Domenico Lucano, l’uomo che nel 2016 grazie al suo impegno è stato inserito fra i 50 uomini più influenti al mondo dall’autorevole rivista statunitense Fortune, e ho trovato una Riace trasformata, viva, con esercizi commerciali aperti, 300 ospiti stranieri ben alloggiati, 80 operatori riacesi impegnati nel progetto di accoglienza, case in pietra ristrutturate, turisti provenienti da tutto il mondo e personaggi famosi del calibro di Roberto Saviano e Piero Pelù giunti nella piccola piazza del paese in solidarietà al progetto. Addirittura, nel corso dell’estate, il Presidente dell’Associazione Asgi, studi giuridici sull’immigrazione, lo stimato avvocato Lorenzo Trucco, è salito nel piccolo paese dell’entroterra calabrese per studiare a livello volontario le carte con le quali è partita l’indagine. E in una conferenza stampa pubblica ha dichiarato: «Siamo di fronte a un atto gravissimo, a una palese ingiustizia dal punto di vista giuridico; a una serie di contestazioni inesatte, senza peraltro alcun riferimento ai contenuti del progetto. Un atto gravissimo». Ma al di là delle controverse questioni giuridiche, a distanza di quindici anni posso dire, e ne sono testimone diretto, che un “altro modello di sviluppo”, in Italia, è possibile.
Domenico Lucano è partito da un’idea, da un sogno ricorrente, nel quale la salvezza della sua comunità in abbandono un giorno sarebbe arrivata dal mare, “per ricominciare una nuova storia”, diceva. Ed è andata proprio così, perché nell’estate del 1998 un veliero inclinato su un fianco si arena davanti alle coste di Riace, e immediatamente la comunità riacese si anima per accogliere i naufraghi. In un paese spopolato, dove più della metà delle abitazioni sono chiuse e destinate a crollare, nasce l’Associazione Città futura con l’idea di farsi affidare il patrimonio edilizio dai rispettivi proprietari, e ristrutturarli con l’aiuto degli ospiti stranieri, in modo da realizzare case per i profughi e un albergo diffuso che richiamo turisti in paese. Vengono recuperati vecchi telai per la tessitura della ginestra, nascono botteghe artigiane di ceramica, vetro, tessitura. Ripartono le attività commerciali e per tre anni il progetto partito dal basso viene portato avanti in modo volontario, senza sovvenzioni di alcun genere, richiamando in paese giovani capaci della diaspora riacese. Nel 2001 nasce il “Programma nazionale asilo”, il primo sistema pubblico per l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, diffuso su tutto il territorio italiano, con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali, e a Riace cominciano ad arrivare i primi contributi. Il progetto cresce, diventa uno SPRAR, cui si affianca un CAS, e nel giro di 20 anni vengono accolte oltre 6000 persone con il coinvolgimento della scuola, dei servizi territoriali, dei commercianti e della comunità locale.

Da circa tre anni però, in seguito all’inchiesta giudiziaria in corso e in attesa della sentenza, i fondi pubblici di Riace sono stati bloccati, e un sistema sociale, economico e culturale che stava faticosamente trovando il suo equilibrio, rischia oggi di crollare: i fornitori hanno bloccato le consegne all’Associazione Città Futura, gli operatori non ricevono lo stipendio da mesi e i commercianti riacesi non riescono più a sostenere il credito fatto alle famiglie. In attesa che la situazione si sblocchi la comunità ha lanciato una “Raccolta popolare di solidarietà” attraverso la pagina Facebook “Riace patrimonio dell’umanità, un gesto di solidarietà che gli interessati possono sottoscrivere, nella speranza che il progetto di Riace non scompaia, e con lui la speranza di un futuro nell’accoglienza per il nostro paese.
Maurizio Dematteis

info: www.riacecittafutura.org

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