Ri-leggere oggi la dichiarazione “Popolazione e cultura”

4 novembre 2014

Nel 2006 i Ministri degli Stati della Convenzione delle Alpi hanno adottato la dichiarazione “Popolazione e cultura”, che risulta giuridicamente meno vincolante dei Protocolli, ma che comunque fornisce indicazioni e stimoli di riflessione volti a sfruttare le potenzialità dei territori alpini al fine di portare avanti uno sviluppo delle Alpi che mette al centro i suoi abitanti. I temi in cui si articola la Dichiarazione ne costituiscono i singoli capitoli e riguardano: I. Coscienza di comunità e cooperazione, II. Diversità culturale, III. Spazio di vita, qualità della vita e pari opportunità, IV. Spazio economico, V. Ruolo delle città e dei territori rurali.

E’ importante sottolineare la sua estrema attualità in relazione al momento storico in cui viviamo. Dalla definizione della Strategia macro-regionale alpina alla costituzione delle Unioni di comuni, passando dal recupero del patrimonio storico-architettonico (borgate, masi, viles) alla riproposizione in chiave innovativa di antichi mestieri, quello che le Alpi stanno riportando al centro è la loro cultura. Una cultura, per dirla alla Remotti (Francesco Remotti, antropologo, socio dell’Accademia delle Scienze di Torino, nda), che costituisce il patrimonio attraverso il quale i soggetti culturali producono quella creatività di cui le Alpi si stanno facendo protagoniste.
In relazione a questa considerazione, ha senso puntare l’attenzione su alcune questioni. Se è vero che la valorizzazione del paesaggio e la conservazione delle lingue e culture minoritarie costituiscono questioni centrali di grande valore e importanza all’interno del documento e da tempo in qualche modo la Dichiarazione stessa ne ha supportato l’implementazione, altri aspetti, insieme ovviamente ai precedenti, vanno ripresi con forza. Prima fra tutte la questione del “welfare alpino”. Nella Dichiarazione si parla chiaramente della necessità di fornire pari condizioni di vivibilità dentro le Alpi (e ciò significa riduzione della marginalità) e rispetto ai territori extra-alpini (e qui si va nella direzione dell’applicazione del concetto di coesione territoriale).
Vi è poi la partita dello sviluppo dei metodi di lavoro tradizionali, da realizzare anche attraverso un’innovazione nel “saper fare”. Si tratta di dare forza a quelle azioni che sostengono il passaggio dalla tradizione alla modernità nella produzione agricola, forestale, artigianale e industriale attraverso creatività e innovazione.
Altra questione importante, la garanzia di un’educazione e una formazione generale con particolare attenzione agli aspetti specificatamente alpini. Questa questione è assolutamente centrale: in primo luogo perché significa importanza della trasmissione della storia e dell’identità alla popolazione locale ma ancor più significa dare consapevolezza alle nuove generazioni delle risorse territoriali che il territorio alpino offre e che possono essere messe in valore attraverso vecchi e nuovi mestieri; in secondo luogo perché implica la possibilità di costruire luoghi di eccellenza scientifica e culturale, come in alcuni casi già è stato fatto soprattutto sul versante orientale delle Alpi; in terzo luogo perché sottintende la costruzione di connessioni tra i giovani e la cultura alpina, connessioni entro le quali si riproduce una parte importante della cultura alpina stessa.
Infine la promozione di uno sviluppo regionale che si porti dietro concetti quale quello di green economy, multifunzionalità, turismo integrato, qualità della vita.
Un’attenzione verso queste questioni da parte delle politiche per le Alpi significherebbe sostenere e supportare la cultura alpina nel suo processo di riproduzione, fatto sicuramente anche di lacerazioni, con l’obiettivo di creare condizioni di confronto e incontro con culture altre, in primis quella urbana, da cui oggi sicuramente non si può prescindere.
Federica Corrado

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