Promozione comunicazione e marketing

4 maggio 2017

La domanda che spesso si fanno gli aderenti alla rete Sweet Mountains è: come far conoscere la propria offerta di accoglienza ai potenziali ospiti? Nel XXI secolo, ci raccontano i Custodi, le strade possibili sembrano essere tre: attraverso il web, con il passaparola e facendo rete. Siti web e pagine facebook servono per raggiungere il mondo intero, ma poi è la qualità dell’accoglienza che gli ospiti ricevono a fare la differenza. Perché se il cliente si trova bene è molto probabile che torni, e magari con amici, e per effetto snowball la clientela si allarghi. Ma lavorare da soli non basta, perché i frequentatori responsabili della montagna amano cambiare, scoprire, spingersi oltre. E allora fare rete con quanti condividono il “modo sweet” di accogliere e promuovere la montagna diventa fondamentale, per far capire che una rete di offerta turistica sulle Alpi piemontesi esiste già ed è ampia, varia e organizzata. Per intercettare quei “flussi” turistici, per dirla alla Aldo Bonomi, che nell’era della globalizzazione sono interessare a passare per Alpi e Appennini.

«All’inizio viaggiavamo sul passaparola – racconta Luca del b&b Casa Payer a Luserna San Giovanni, in Val Pellice – poi abbiamo capito che solo con quello non si possono fare i miracoli, perché pur essendo un modo efficace è anche molto lento e limitato. Si raggiunge un bacino ristretto di possibili clienti e si rischia di non riuscire a lavorare tutto l’anno. Per cui ci siamo affidati a un sito internet, che ci ha fatto migliorare nettamente. L’abbiamo realizzato cinque anni fa e i clienti arrivano attraverso il sito spesso tornano, con gli amici. Quindi il sito serve ad allargare il bacino della clientela ma l’ospite lo fidelizzi con la professionalità, e lui ti ricambia con il passaparola».
Anche Danila, de La Peiro Douco di Frazione Castel del Bosco di Roure, ha puntato sul sito internet: «negli ultimi due anni abbiamo implementato molto la promozione sul web – racconta -. Prima cercavano di appoggiarci a professionisti o agenzie, ma poi abbiamo visto che per la promozione e la vendita la rete è ottima. Il cliente sa immediatamente quanto deve pagare, si legge le descrizioni del servizio e se ha dubbi ci invia una mail. E’ tutto molto chiaro e non genera problemi». Stessa opinione ha Ferruccio, del Rifugio Fontana del Thures: «nonostante il rifugio abbia ormai 22 anni, e un solido passaparola tra gruppi del CAF francese e del CAI italiano, che ci garantisce un buon giro di clienti, il sito internet ci serve per allargare la cerchia e comunicare a tutti i nostri clienti, consolidati o nuovi che siano, la nostra offerta».

Massimo del Rifugio Selleries nel comune di Roure, in val Chisone, si è spinto più in là, puntando anche sul canale di Mark Zuckerberg:«abbiamo aperto la nostra pagina Facebook per scherzo, per curiosità. Poi la cosa è andata in crescendo, ha avuto una maturazione, e i like hanno cominciato a crescere in maniera esponenziale. Oggi se ogni mattina non posto qualcosa con tanto di temperatura, foto e tutto il resto, non mi sento a posto, mi manca qualcosa. Tanto che aggiornare la pagina Facebook è ormai diventata una delle attività quotidiane del gestore del Rifugio Selleries».
Ma limitarsi a curare il proprio orticello virtuale ormai non basta più, e i Custodi ben lo sanno. Marco del Bosco delle terre cotte di Barge, racconta di come il valore aggiunto dell’attività turistica sia quello di mettere in rete gli altri operatori della rete Sweet. Mountains: «questo modo di fare turismo riguarda te ma anche gli altri – spiega – perché attraverso la tua attività vanno a trovare altre realtà, e così tu generi automaticamente ricadute su tutto il territorio». E se tu mandi degli ospiti ai tuoi vicini, loro faranno poi lo stesso con te in un circolo virtuoso che, come sottolinea Marco, genera ricadute su tutto il territorio. «Quello che interessa me ad esempio è rimettere al centro dell’attenzione l’attività di agricoltura e allevamento. Ma questo sarebbe difficile farlo da soli. Bisogna creare una rete, un marchio, valorizzare i prodotti attraverso il racconto di quello che viene fatto sul territorio, tutti insieme. Altrimenti ti trovi a lavorare da solo, e fai davvero molta fatica». Ne sa qualcosa Roby, del rifugio Willy Jervis, da anni impegnato a creare reti e promuovere il turismo responsabile in montagna: «credo che a fronte di un turismo che sta cambiando molto, ed è sempre più esigente, non possiamo più organizzarci col fai da te. Un buon gestore di rifugio, una guida alpina, un professionista della montagna deve fare bene il proprio mestiere e non può occuparsi anche della promozione, se non in termini di idee da mettere sul tavolo. Non ce la facciamo. Abbiamo bisogno di essere coordinati da qualcuno».
E’ questo uno dei motivi per cui Roby, come i tanti altri aderenti, è entrato a far parte della rete Sweet Mountains. «Perché la filosofia che propone – spiega Giorgio dell’azienda agricola Lo Puy di San Damiano Macra, in val Maira – ci interessa e sembrava la nostra: andare nella montagna vissuta e non solo in quella che si apre ai turisti come mestiere. Valorizzare la montagna che vive del suo ed è interessata anche a un passaggio di un certo tipo di turismo. Questo per noi montanari è molto importante, ci permette di incrementare il reddito da una parte e di vedere e conoscere il resto del mondo dall’altra, visto che siamo vincolati alla terra. Cerchiamo un turista consapevole a cui interessi, oltre a fare le sue attività sportive, venire a vedere come vive un pezzo di montagna». Come ribadisce Luca di Casa Payer «da Sweet Mountains si aspettiamo anche che faccia da tramite tra montagna e città, in modo che passino le incomprensioni creando una corretta comunicazione tra strutture ricettive, operatori, produttori locali, ristorazione e cittadini. Se poi si riuscisse anche a portare un po’ di cultura del turismo in modo da ammorbidire le istituzioni locali, sarebbe tanto di guadagnato»,
Una cultura del turismo dolce in montagna che se in alcune valli deve ancora germogliare, in altre è ormai un dati di fatto. Come in Val Maira, dove Marco del Pitavin racconta: «il nostro tipo di turismo è andato molto bene negli ultimi anni. Il turismo dolce in montagna è molto ricercato. E’ un turismo che costa poco come infrastrutture, che non ha bisogno di investimenti se non nella pulizia dei sentieri e in cartellonistica, per cui non incide su risorse pubbliche e comunitarie. Cosa che non si può certo dire del turismo di massa delle stazioni sciistiche o balneari. In Val Maira il fatto di non essere stati deturpati negli anni ‘60 e ‘70 oggi è un valore, e non abbiamo dovuto riparare e ricostruire. Ma nel mondo è difficile che esca la destinazione Val Maira, per cui se vogliamo promuoverci dobbiamo fare rete in Piemonte, e magari uscire anche dalla regione. Se siamo uniti siamo più visibili, se rimaniamo chiusi nella nostra valle, anche se ora gli affari vano bene, rischiamo di rimanere tagliati fuori dai passaggi turistici. Per questo aderiamo a Sweet Mountains, perché allarga l’orizzonte e addirittura ragiona a livello alpino. E noi oggi in Piemonte non dobbiamo avere timore a confrontarci con un Trentino o un Tirolo. Abbiamo tutti i numeri occorrenti per esserci».
E poi, conclude Loredana della Foresteria di Massello: «è bello far parte di una rete che ha le tue stesse idee, dà sicurezza e coraggio. Ti fa pensare che non stai sbagliando, che stai seguendo una linea giusta e che esiste un turismo sostenibile di persone alle quali piace la natura e la rispettano. E’ importante lavorare insieme ad altri che perseguono gli stessi obiettivi».
Maurizio Dematteis

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