Progetto IRTA: la ricerca alpina in Piemonte

31 marzo 2011

Nel presentare sinteticamente i principali risultati del progetto IRTA (acronimo per Inventario della Ricerca sulle Terre Alte Piemontesi), vorrei prendere spunto da una metafora frequentemente utilizzata per descrivere le Alpi: quella del “laboratorio”, un luogo privilegiato in cui la società si sperimenta nella relazione con l’ambiente, dando forma a un patrimonio biologico, sociale e culturale unico e irripetibile. Perché un buon laboratorio funzioni in piena efficienza, tuttavia, è necessario che si svolgano al suo interno analisi, che vi operino ricercatori, che si facciano esperimenti e test. In altri termini: che vi si faccia ricerca. È questa, in estrema sintesi, la filosofia alla base del progetto in cui Dislivelli si è impegnato nel corso dell’ultimo anno. L’obiettivo iniziale era di rispondere a tre ambiziose domande: quali soggetti sono impegnati in attività di ricerca sulla montagna in Piemonte? Su quali temi? Con quali risultati? Rientrando nella nostra metafora iniziale, si è trattato di verificare chi frequenta, come e con quali intenzioni e risultati quel particolare “laboratorio” rappresentato dall’arco alpino occidentale.
È emerso un po’ a sorpresa come la montagna piemontese non rappresenti affatto un soggetto di studio marginale. Le terre alte rientrano negli interessi di una molteplicità di soggetti che spaziano attraverso diversi sguardi e approcci: la ricerca scientifica dei dipartimenti universitari e dei centri di ricerca; le analisi a supporto delle politiche (da quelle regionali sino ai programmi di sviluppo locale diffusi sul territorio); le attività di documentazione messe in campo dalle associazioni locali e dagli ecomusei; gli studi diretti alla tutela del territorio promossi dalle associazioni ambientaliste, e così via. Sono moltissimi i temi oggetto di ricerca: sviluppo economico, servizi alla popolazione, ambiente naturale, biodiversità, storia e cultura, patrimonio architettonico, geologia, glaciologia e meteorologia, e così via. Tale diversità di vedute rappresenta una ricchezza in termini di conoscenza dell’arco alpino occidentale che non può essere trascurata.
Al contempo, IRTA ha sottolineato alcuni limiti sui quali è possibile lavorare (come ci mostra Giuseppe Dematteis in apertura di questo dossier). Il primo è dato dal difficile dialogo tra i diversi saperi disciplinari, così come tra i diversi risultati conseguiti. Questo, che rappresenta spesso un problema della ricerca più in generale, costituisce un limite particolarmente critico in ambito alpino, in cui una profonda interconnessione tra fenomeni fisici, sociali, economici e culturali è considerata una peculiarità propria e specifica del territorio. Il secondo è rappresentato dal basso livello di penetrazione degli studi nel dibattito e nelle politiche sulla montagna e nella scarsa capacità da parte della ricerca di comunicare con il territorio e con i suoi attori (pubblici e privati) che a loro volta potrebbero beneficiare dei risultati.
Proprio la connessione tra ricerca e territorio costituisce un nodo particolarmente importante rilevato da IRTA: la persistenza di alcuni stereotipi e miti più volte denunciati sulle pagine di questa newsletter e nelle occasioni di confronto organizzate da Dislivelli (la montagna come ambiente della tradizione o come spettacolo-palcoscenico per attività sportive ed eventi) dimostra come non bastino le “buone pratiche” o il “buon governo” di  alcuni territori a rilanciare il dibattito sul futuro delle terre alte, in Piemonte così come altrove. C’è bisogno, probabilmente, di un rinnovamento nell’approccio alla montagna, per il successo del quale la ricerca svolge un ruolo fondamentale. Questioni oggi estremamente attuali quali lo sviluppo della green economy, gli effetti dei cambiamenti climatici, l’edilizia e la mobilità sostenibili, il turismo “dolce”, la valorizzazione delle produzioni locali, il neo-ruralismo rappresentano vere e proprio frontiere di ricerca, su cui c’è molto da capire ed esplorare, e che trovano in montagna una collocazione privilegiata e rappresentano, per le Alpi in generale, ambiti di riflessione irrinunciabili. Ne sono esempio alcuni studi che, anche in Piemonte, hanno cominciato ad affrontare criticamente simili problematiche declinandole nei contesti alpini. La sfida è che simili lavori possano tradursi in esperienze concrete di trasformazione del territorio e che contribuiscano a edificare nuovi scenari e strumenti per il governo dello spazio alpino e del suo sviluppo. La ricerca sulla montagna è per sua natura applicata, chiamata a confrontarsi con un territorio dotato, al tempo stesso, di una propria specificità e di una grandissima complessità. Se è vero, pertanto, che la montagna non può fare a meno della ricerca, forzando un po’ il ragionamento è anche possibile affermare il contrario: per la ricerca, la montagna rappresenta oggi uno spazio indispensabile per affrontare alcuni problemi e sul quale concentrare le forze: per fare un esempio molto semplice, si pensi al ruolo dei ghiacciai come “cartina di tornasole” del riscaldamento globale.
Vorrei, infine, chiudere questo contributo sottolineando come il fare ricerca, e in particolar modo l’aprire nuovi spazi e nuove frontiere, sia un compito difficile che non dipende soltanto dalla buona volontà dei soggetti che la fanno, ma anche da condizioni di contesto (quali la disponibilità di risorse) che la rendono possibile. La situazione di contrazione dei fondi destinati alle attività di ricerca e documentazione in Italia certamente non costituisce un aiuto in tal senso.
Matteo Puttilli

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