Più dignità al turismo dolce

4 marzo 2021

«La montagna dolce non è un mercato in crisi. Tutt’altro. Lo prova il fatto che appena il Covid ci ha permesso di uscire di casa gli ospiti sono aumentati». Guido Rocci, Presidente dell’Agrap, l’Associazione dei rifugisti del Piemonte, non ha dubbi. L’estate scorsa l’emergenza per la pandemia non ha rovinato i piani della montagna del turismo dolce, anzi, li ha rinvigoriti. Passata la chiusura forzata, che ha coinvolto purtroppo tutta l’economia del paese, alla riapertura il turismo di prossimità è esploso. «Abbiamo perso gli stranieri, quelli sì, ma li ricupereremo più avanti. Il turismo di prossimità invece, che già prima del Covid 19 era in espansione, è andato sicuramente ad aumentare».

L’emergenza Covid, assicurano i rifugisti, ha richiesto una buona dose di adattamenti: gran parte delle strutture si sono trasformate in ristoranti e chioschi/bar di montagna, restando con le stanze prevalentemente vuote e perdendo quindi l’indotto mezza pensione.
I rifugi compresi più o meno entro l’ora di cammino, quelli accessibili a quasi tutti, famiglie comprese, hanno avuto invece un boom di richieste. In periodo di Covid hanno lavorato bene soprattutto quelli con le camere, meglio se con bagno indipendente, e hanno invece faticato quelli dotati dei tradizionali cameroni con servizi comuni. Poi ci sono quelli in alta quota, i più penalizzati ancor più se dipendenti da flussi stranieri, che hanno perso dal 40 al 70% degli ospiti. Alcuni si sono attrezzati o addirittura reinventati montando chioschi in esterno, per andare incontro alle esigenze della clientela che, tempo permettendo, ha potuto servirsi delle aree outdoor nei pressi del rifugio per consumare i pasti.

Altra misura importante, l’introduzione dei voucher vacanze istituiti dalla Regione Piemonte, che hanno permesso di recuperare le camere anche nei rifugi, purché compresi in quei territori dove operano consorzi di operatori turistici riconosciuti dalla Regione stessa. «Nel mese di agosto ci hanno aiutato a pareggiare la mancanza degli stranieri con ospiti italiani interessati all’outdoor. I voucher hanno portato una buona clientela, e quest’estate speriamo che si ripeta. Alla fine abbiamo chiuso quasi tutti la stagione estiva contenti, è andata bene,  cosa che se ce lo avessero detto all’inizio della stagione non ci avremmo creduto».
Con l’arrivo dell’inverno i problemi si sono riproposti. Nuova chiusura forzata, e rifugi sbarrati: «Oggi esiste un indotto nelle valli minori, fatto di camminatori, di racchette e sci da fondo o con le pelli, che ha assunto ormai un certo peso. E quello all’inizio lo abbiamo perso. Ma alla riapertura, anche a causa degli impianti chiusi, nei weekend la gente ha ricominciato ad arrivare». Nuovi ospiti, non la clientela affezionata, ma gente che ha poco a che fare con la montagna d’inverno. «L’aumento degli ospiti in inverno è interessante, ma per certi versi può diventare un problema – ammonisce Rocci –. Ultimamente, in una stessa località, in soli quattro giorni si sono dovuti fare cinque interventi di soccorso: incidenti soprattutto dettati dalla non conoscenza della montagna invernale». Cambia l’utenza e cambiano le esigenze, viene da pensare. «Dobbiamo trasformarci in educatori dei nostri clienti, e non vederli solo come i 20 euro che entrano in rifugio. Dedicare loro più tempo, spiegargli come vestirsi e come comportarsi sulla neve. E questo lo dobbiamo fare, perché il rifugista è una scelta di vita, altrimenti tanto vale prendere un ristorante a Torino».
Nonostante l’ottimismo manifestato dai rifugisti e la loro voglia di guardare al futuro, il danno economico anche per questa categoria c’è stato. Il turismo dolce è un settore in crescita, che prima durante e dopo la pandemia ha registrato comunque numeri significativi. Eppure nel momento in cui i rifugi cercano di fare la richiesta dei famigerati ristori, faticano a trovare una collocazione. Agrap ha discusso a lungo con la Regione Piemonte, ed è in attesa di vedere riconosciuti adeguati ristori per la chiusura subita alla stessa stregua del settore dello sci. «Perché non hanno ancora capito che noi siamo un turismo alternativo e non a traino», conclude Rocci. E forse è arrivato il momento che anche i responsabili regionali facciano lo sforzo di adattamento richiesto ai gestori di rifugio.
Maurizio Dematteis

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