Non ci scusiamo per il disturbo

3 novembre 2014

Elisabetta Rombi e Alfredo Camera (a cura di), Non ci scusiamo per il disturbo, editore Domus de Janas, Selargius, 2013, 103 pagine, 12 euro.

Pubblicato nel 2013 dall’editore Domus de Janas di Selargius (Ca), il libro è stato scritto dai giovani e dalle giovani del gruppo terapeutico Andalas de Amistade Trekking, che vivono nel medio Campidano.
Il disturbo del titolo non è solo quello mentale degli autori, è anche il disagio che procurano al lettore “normale”, minando le sue certezze e i suoi pregiudizi con i racconti dei loro trekking, ricchi di storie individuali e di gruppo, di descrizioni, introspezioni, fantasie e riflessioni tutt’altro che banali. Non solo, ma come scrive lo psichiatra Alfredo Camera nell’illuminante postfazione (“Ringraziamo per il distrurbo”), a essere disturbati saranno anche gli psichiatri assuefatti a prassi terapeutiche ordinarie e, almeno per loro, più tranquille. Infatti curare la malattia mentale con il trekking in montagna richiede impegno e coraggio: non sono le solite“sedute”, anche se alla sera ci si siede tutti a conversare attorno a un fuoco, ma dopo aver scarpinato per tutto il giorno, vincendo fatica e paure.
La “camminata terapeutica” non è una cosa nuova, ma qui andiamo ben oltre la semplice passeggiata. Come si vede anche nel bel video su dvd Semus Fortes , realizzato in parallelo, sovente – come nel sopramonte di Baunei, o sui monti della Corsica, o addirittura nel Nepal – la camminata diventa arrampicata, richiede pazienza, energia, perseveranza, aiuto reciproco. Esplorare in gruppo ambienti e paesaggi nuovi è vissuto come un gioco in cui il malato mentale riprende un contatto vitale con il mondo e così comincia a uscire dalla malattia che lo isola dalla realtà e dagli altri. Praticarlo in montagna, con la fatica, le difficoltà e le emozioni che comporta, permette di riacquistare – come scrive uno di loro – “autostima, sicurezza, serenità e maggiore coscienza nel fare delle scelte”. Raccontare tutto ciò in un libro è anche liberatorio: «Noi, quindici giovani con disturbi psichici gravi, che abbiamo vissuto a lungo in una condizione di forte isolamento, durante il trekking camminiamo e fatichiamo senza lamentarci, dormiamo senza paura negli ovili abbandonati, nelle grotte…». Il sentiero di montagna, con i suoi ostacoli da superare simula il percorso della vita. I paesaggi della montagna diventano paesaggi dell’anima: «Luoghi così perturbanti da emanare una tale potenza di suggestione non possono essere guardati con indifferenza, o si è respinti o si è attratti». E ancora: «La forza la dà il gruppo, perché ognuno di noi si prende carico del problema del compagno… La cosa che mi ha colpito di più è la facilità con cui ci si apre tra di noi». Alla fine del trekking si scopre con gioia che «siamo irriconoscibili e siamo cambiati tantissimo» e, «anche se per una guarigione si sa ci vorrebbe molto più tempo», c’è la fiducia che «la malattia mentale possa essere riposta in una parte se non addirittura soffocata, se si riesce a prendere in mano la propria vita».
Questo libro ci fa riflettere sul fatto che noi, che non avvertiamo disturbi mentali così gravi, in montagna cerchiamo le stesse cose e proviamo le stesse emozioni di questi giovani, anche se, salvo eccezioni, non credo che saremmo in grado di parlarne – né con noi stessi né con gli altri – in un modo così sincero, profondo ed efficace. Forse perché pensiamo di essere più forti di loro, di non averne bisogno. In realtà abbiamo molto da imparare dalla loro esperienza.
Giuseppe Dematteis

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