Montanari per forza

14 gennaio 2019

M. Dematteis, A. Di Gioia, A. Membretti, Montanari per forza. Rifugiati e richiedenti asilo nella montagna italiana, Terre Alte-Dislivelli, Franco Angeli Editore 2018

In Italia viviamo in un momento di forte cambiamento nelle politiche di accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati. Ma se guardiamo al recente passato, il modello di accoglienza diffuso fino ad oggi utilizzato ha permesso a molti migranti forzati di trovare accoglienza anche nelle aree montane e pedemontane. Territori in gran parte soggetti allo spopolamento dove gli ospiti stranieri, se ben gestiti, possono rappresentare una risorsa particolarmente importante, contribuendo a frenare la riduzione della forza lavoro e il forte invecchiamento della popolazione. Addirittura contribuendo a mantenere e talvolta a migliorare i servizi esistenti per tutta la popolazione residente.
Il volume “Montanari per forza” è il risultato di una ricerca condotta dall’Associazione Dislivelli sui territori montani di Piemonte e Liguria per raccontare come questi ultimi si sono organizzati nel gestire l’ospitalità di rifugiati e richiedenti asilo. Un documento importante per capire quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni da parte di associazioni, parrocchie, ong e comuni, che hanno collaborato all’interno della cornice dei progetti di accoglienza. La prima cosa che la ricerca mette in evidenza è che, pur essendo le aree urbane dei grandi e medi centri abitati i fulcri dell’ospitalità, la montagna è il secondo ambito territoriale di importanza per accoglienza. Il 30% circa dei migranti forzati ospitati a livello nazionale si trova infatti attualmente in aree montane. Ma all’interno delle montagne nazionali vi è una grossa differenza di progetti tra la montagna alpina e quella appenninica: i progetti SPRAR, cioè quelli portati avanti direttamente dalle amministrazioni pubbliche, sono infatti molto più numerosi nell’Appennino (più del 40% dei migranti forzati accolti in SPRAR ricade in questi territori) che non nei contesti alpini (meno del 3% dei migranti accolti in SPRAR), dove invece sono più frequenti i progetti CAS, o emergenziali, che non vedono coinvolti i comuni in prima battuta.
Secondo la ricerca condotta da Dislivelli, i bisogni dei cittadini che abitano nei comuni montani di piccola dimensione possono essere integrati nelle attività di accoglienza in relazione alla realizzazione di nuovi servizi, al mantenimento delle strutture, allo sfruttamento di nuove risorse prima non riconosciute o allo sviluppo di attività di manutenzione ambientale. Tutto questo si può realizzare a patto però che vi sia un soggetto territoriale forte, che conosca il territorio ma che abbia anche una certa solidità culturale ed economica, in grado da poter sviluppare attività di lungo periodo. Infine i progetti più virtuosi di cui si parla nel libro, sono stati realizzati da soggetti territoriali forti che sono riusciti a creare una struttura di cooperazione di livello intercomunale o di valle, permettendo di creare una sorta di meccanismo perequativo dell’ospitalità dei diversi Comuni delle aree montane che sopperisca ai meccanismi emergenziali delle Prefetture creando un modello di governance locale dedicato.
Elena Olivero

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Commenti: 1 commento

  1. Daniele Salvietti scrive:

    Sono dell’appennino toscoemiliano, i problemi da noi sono ancora più marcati. l’abbandono del territorio é a un livello irreversibile, il turismo, il poco rimasto, è di tipo mordi e fuggi. le mirtillaie si riducono sempre più perché non ci sono più le greggi che mantenevano puliti gli alpeggi. I funghi con la politica dissennata dell’alto fusto(faggio), il bosco ceduo diminuisci sempre più, i funghi proliferano nella rotazione del taglio del bosco ceduo. tre prodotti che producono reddito se gestiti correttamente. Scusate lo sfogo.

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