Le modifiche alla 394 che snaturano le funzioni dei parchi nazionali

9 dicembre 2016

Il ministro Galletti lo aveva promesso. Si deve modificare la legge nazionale sulle aree protette, è vecchia, datata 1991. Diceva il ministro: “Non è concepibile avere territori tanto vasti, oltre il 10% del paese, immobilizzati, aree museali che non producono economia. E’ necessario innovare: tagliare i boschi, permettere sviluppo, snellire gli organismi dirigenziali”.
Il ministro non ha mai spiegato, né in Parlamento, né all’opinione pubblica, che i parchi sono bloccati perché i fondi che lo Stato vi destina sono appena sufficienti al mantenimento della struttura, che i comitati di gestione non vengono rinnovati perché bloccati dal suo ministero, che i piani parco, laddove sono stati approvati, non possono esplicare le azioni positive perché non vengono tradotti in progettualità. Il governo italiano, sostenuto dall’azione ostativa di tante regioni, vedasi il caso emblematico dello Stelvio fatto morire per volontà della Svp e del Trentino, ha di fatto impedito ai parchi ogni azione di rilancio, di sviluppo, di sostegno alle politiche di conservazione attiva.
E’ stato facile gioco per il ministro proporsi al Parlamento come un innovatore. Infatti né il Senato né il governo hanno accolto nemmeno in minima parte le osservazioni proposte da 17 associazioni ambientaliste, da centinaia di uomini di cultura, l’immenso lavoro emendatorio costruito dalla senatrice di Sel Depetris.
Con le norme approvate al Senato il settore rimane nell’incertezza, senza alcuna garanzia di essere sostenuto con adeguati finanziamenti. Nemmeno una riga viene spesa nel proporre una prospettiva moderna ed efficace della conservazione dei beni naturali del nostro paese, nel tentare di applicare in queste aree la conservazione attiva, capace di promuovere nuovi lavori e redditi a chi vive lungo le coste marine o in montagna, comunque in aree ritenute marginali.
L’insieme degli aspetti negativi dovrebbe scuotere il mondo della scienza e della cultura, dovrebbe diffondersi in tutto il paese una ondata di indignazione. Il presidente, che potrà essere privo di una qualunque minima qualifica scientifica, verrà dotato di poteri esecutivi e gestionali eccessivi.

Anche per assumere la carica di direttore non si dovrà più essere iscritti a un albo nazionale che garantisca indubbie capacità amministrative e scientifiche. Il potere di nomina del direttore sarà assunto dal Consiglio all’interno di una terna: una evidente violazione delle norme costituzionali nei confronti di tutte le altre dirigenze pubbliche. Per far parte dei comitati di gestione non viene richiesto alcun titolo, viene anche soppressa la presenza della componente scientifica fino a oggi prevista. Assumerà un ruolo determinante, maggioritario, la presenza in questi organismi dei rappresentanti delle comunità locali, delle associazioni agricole che sicuramente investiranno in interessi di parte, corporativi. Un vero e proprio, diffuso, conflitto di interesse che viene legalizzato. Sconcertante è poi il ruolo che verrebbe ad assumere Federparchi, una titolarità di rappresentanza istituzionale assoluta che va a violare un’altra norma istituzionale sulla libertà di associazione.
I parchi diventano enti economici di fatto. Vengono introdotte le royalties derivanti dallo sfruttamento delle infrastrutture esistenti come centrali idroelettriche, estrazione di acque minerali, di idrocarburi liquidi e gassosi, energia eolica. E’ evidente che in tempi di ristrettezze tanto forti l’interesse economico di questi enti prevarrà su ogni dovere conservativo sia della biodiversità che dei paesaggi.
Incredibilmente la tutela delle specie animali si sofferma solo sui mammiferi e gli uccelli. Scompaiono dai doveri di conservazione di un parco rettili, fauna ittica, insetti. Con l’assimilazione del Corpo forestale nell’arma dei carabinieri non è banale esercizio chiedersi chi garantirà la vigilanza ambientale nei parchi nazionali e regionali. Territori abbandonati? La legge non si esprime. Il parco, come descritto, rimane un’isola, quasi incapace di dialogare con i territori pregiati che lo circondano, un ente a sé stante. Prevale la marginalizzazione degli interessi generali, dell’investimento in valori, della sperimentazione di buone pratiche e si allontana sempre più il ruolo della ricerca e delle competenze scientifiche nella gestione delle aree protette.
Certo, ci sono anche passaggi positivi. L’estensione delle aree protette terrestri verso il mare, la previsione di connessioni (non spiegate) con Rete Natura 2000, il monitoraggio dei risultati ottenuti nella gestione. Ci saranno tempi certi nella nomina dei presidenti, nei percorsi della pianificazione, nel rilascio dei pareri e dei nulla osta richiesti dai cittadini. Al parco inoltre vengono finalmente affidate competenze in materia di autorizzazione paesaggistica, vi è il superamento del meccanismo del silenzio assenso che tante speculazioni ha permesso, al parco vengono concesse le gestioni dei beni demaniali dalle quali attingere risorse economiche fondamentali alla sua vita. Come positiva è la previsione della incompatibilità della presidenza con altre cariche istituzionali e il coinvolgimento del ministero dei Beni culturali nella pianificazione.
Nonostante questi aspetti innovativi si tratta di una riforma sbagliata, sono norme che impediscono una modernizzazione delle aree protette. La natura nella sua evoluzione non conosce barriere: si è persa una occasione per inserire principi fondamentali nella conservazione dei beni: fare rete, strutturare e pianificare connessioni, avviare un percorso che ci porti a considerare l’intero territorio nazionale meritevole di attenzioni e di investimento naturalistico.
Le associazioni ambientaliste nazionali, unite in un’azione critica determinata, affermano: «A venticinque anni dalla sua approvazione, il Senato, snaturandone i presupposti, approva modiche inadeguate alla legge sulle aree protette che ha garantito la conservazione della natura e la salvezza di una parte cospicua del territorio italiano. La questione ora si sposta alla Camera dei Deputati dove le Associazioni faranno di tutto per far sentire una voce che va ben oltre loro e coinvolge tutto il mondo della cultura e della scienza del nostro Paese».
Con questa lapidaria affermazione si sintetizzano decisioni istituzionali che vanno contrastate e che meritano di essere seguite dall’opinione pubblica con tenace attenzione.
Luigi Casanova

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