La specializzazione turistica alla prova del Covid 19

29 luglio 2021

Cos’è capitato durante il periodo di lockdown ai comuni turistici italiani?
I media hanno ampiamente dibattuto la tematica fin dai primi momenti della diffusione della pandemia, mostrando città deserte come Firenze, Roma, Palermo, Milano. Subito conseguenti i ragionamenti sugli impatti economici ed anche sociali delle imposizioni del lockdown, che sul turismo hanno avuto effetti ovvi e subito evidenti. Ma cos’è capitato dettagliatamente nei diversi comuni italiani? In riferimento alla loro dimensione, ma anche al livello di specializzazione turistica – peso del turismo rispetto alle altre economie locali.
Nel periodo del primo lockdown per il Covid 19 (marzo–aprile 2020) l’ISTAT ha realizzato in tutti comuni italiani una rilevazione del fatturato perso nel settore dei servizi dalle imprese che hanno dovuto sospendere la loro attività. In base a questi dati si sono potuti valutare gli impatti sui territori caratterizzati da economie locali mono-funzionali, cioè quelle basate su una sola attività largamente prevalente. Per quanto riguarda il turismo lo abbiamo fatto in un articolo pubblicato sulla rivista Scienze del Territorio (https://bit.ly/2U4JDrA), con un focus su Piemonte e Valle d’Aosta, ottenendo questi risultati.
Una prima ricognizione a livello nazionale, relativa ai 909 comuni maggiormente specializzati nel turismo (figura 1.) ha mostrato come il 77,5% di essi avesse subito perdite superiori ai 12 milioni di euro, simili a quelle riscontrate in città di medie dimensioni, nonostante che tra questi comuni più turistici ce ne siano molti con meno di 5.000 residenti (di cui 143 montani). Anche nel restante 22,5% di comuni a forte specializzazione turistica le perdite sono state ingenti e comunque superiori a quelle di comuni non turistici di pari dimensioni demografiche. Ad esempio  Macugnaga ha perso 4 milioni di fatturato, con poco più di 600 residenti. Gressoney-La-Trinitè 10 milioni di euro, con poco più di 300 residenti.

FIGURA1: Figura 1. Principali comuni italiani con meno di 5.000 abitanti, specializzati nel turismo e con perdite di fatturato in servizi nel periodo di lockdown per Covid 19 superiori ai 12milioni di euro.

Una lettura più approfondita, relativa ai 563 comuni delle Alpi di Nord Ovest (piemontesi e valdostane), ha dato risultati interessanti e in parte inattesi. Perché dimostrano che, contrariamente alla nostra ipotesi di partenza, non in tutti i comuni le perdite economiche sono state proporzionali al grado di specializzazione turistica. Questo non vuol dire che il turismo non abbia inciso fortemente, nel suo insieme, sulle perdite economiche. Infatti in questo settore alpino il 36,8% delle perdite si è concentrato nell’ 8% dei Comuni turistici e la perdita media dei 46 comuni montani a forte specializzazione turistica è risultata in media più di quattro volte quella media di tutti i 536 comuni montani delle due Regioni considerate. Ma quando si parla di specializzazione funzionale, occorre ricordare che tra i comuni “turistici” ci sono differenze sostanziali legate alla loro diversa dotazione di servizi indotti dalle attività  turistiche in senso stretto (impianti di risalita, alberghi ecc,). In particolare i comuni specializzati nel turismo e al tempo stesso più dotati di servizi vari (quindi apparentemente multifunzionali) presentano perdite molto maggiori di quelli altrettanto “turistici” ma con pochi servizi (quindi palesemente monofunzionali). In realtà questa differenza è data dal fatto che nei comuni multi-dotati di servizi la sospensione delle attività propriamente turistiche ha comportato anche quella di molte altre attività localmente indotte dal turismo (ristorazione, commercio al dettaglio, servizi alla persona, trasporti ecc.). In molti casi poi le perdite dei servizi di questi comuni risultano accresciute dal fatto che alcuni di essi soddisfano anche la domanda indotta da attività turistiche situate in comuni vicini sub-dotati. Tutto ciò spiega perché, in apparente contrasto con la nostra prima ipotesi, le perdite dei comuni dove sono presenti quasi solo attività turistiche in senso stretto siano state molto meno di quelle dei comuni variamente dotati di servizi, in cui ha avuto un peso rilevante la sospensione di attività indotte.
Riassumendo: nel loro insieme i comuni delle Alpi di N-O specializzati in turismo – sia subdotati che multi-dotati di servizi- hanno subito perdite assai maggiori di quelle degli altri comuni. Infatti mentre i comuni sub-dotati di servizi hanno perso in media 4,3 milioni di euro per comune, quelli di loro a forte specializzazione turistica perdono 11,61 milioni per comune, cioè 2,7 volte di più. Allo stesso modo mentre i comuni multi-dotati di servizi hanno perso in media 47,8 milioni per comune, quelli di loro specializzati nel turismo registrano una perdita di 89,8 milioni di € per comune, cioè quasi il doppio. In particolare le figure 2 e 3, mostrano che tra i comuni del Piemonte e della Valle d’Aosta con maggiori perdite di fatturato nei servizi compaiono quelli dei grandi comprensori turistici piemontesi (alte valli di Susa e Chisone, Limone Piemonte e Macugnaga) e valdostani, (Courmayeur e La Thuile, Valle d’Ayas, Valtournenche). Sono comuni montani con meno di 3.500 residenti che però presentano perdite nei servizi non molto inferiori a quelli di città come Aosta, Cuneo, Verbania e altri capoluoghi di provincia.

FIGURA2: Figure 2. e 3.  (a sinistra) Fatturato perso in servizi sospesi dei Comuni del Nord Ovest in periodo di lockdown per COVID 19 (a destra, per lo stesso periodo) Fatturato perso in servizi sospesi rispetto ai ricavi dei servizi attivi (in %) (fonte ISTAT, 2020).

Il triste esperimento della pandemia ha quindi confermato in modo evidente e drammatico, ciò che W. Bätzing e altri autorevoli specialisti avevano da tempo affermato, cioè  la non sostenibilità economica e sociale delle economie montane a forte (e sovente esclusiva) specializzazione turistica.
Giuseppe Dematteis e Alberto Di Gioia

Commenti: 1 commento

  1. Massimo Dapelo scrive:

    Da semplice osservatore dei fenomeni trattati nell’articolo non posso che confermare, nel senso che quella che ho sempre definito economia dello skipass convive con una incombente fragilità in quanto soggetta a stagionalità delle precipitazioni, fattori eccezionali quali una pandemia etc. Nei comuni appenninici e alpini che non sono legati a queste logiche di “sviluppo” economico la recente esperienza pandemica ha indotto invece un po’ di rivitalizzazione; potrei essere smentito da chi analizza in dettaglio i dati istat ma, ad esempio, nei comuni dell’appennino ligure a ridosso di Genova è tangibile un po’ di ripopolamento che non è costituito dal pensionato che decide di stabilirsi o ristabilirsi tra i monti ma anche da coppie in età lavorativa che mettono in conto uno spostamento più lungo casa-lavoro o sfruttano le opportunità del lavoro a distanza. Persone che hanno smesso di abdicare la qualità della vita a favore delle comodità urbane. Io e mia moglie ci siamo trasferiti 5 anni fa in un comune dell’appennino ligure da cui raggiungiamo facilmente Genova, per impegni lavorativi e familiari, e la scelta ha rivalutato drasticamente la nostra qualità di vita. Per finire, l’esortazione è che gli individui in grado di apprezzare le differenze tra la vita urbana e quella montana facciano di tutto per spostarsi dalla città. Solo così, ripopolando l’entroterra e le terre alte si potrà pensare ad un vero sviluppo delle aree interne in quanto costituito da residenti e non da fruitori mordi e fuggi. Un caro saluto a tutti

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