La città discontinua
“Se ti dico che la città a cui tende il mio viaggio è discontinua nello spazio e nel tempo, ora più rada ora più densa, tu non devi credere che si possa smettere di cercarla.”
Le città invisibili, Italo Calvino
Una contemporaneità segnata dalle sfide delle crisi climatica e pandemica e dall’affermarsi dell’ecosistema digitale ci impone di abbandonare paradigmi, concetti e geografie di una modernità che è alle nostre spalle, probabilmente ben più di quello che siamo portati a ritenere. Parte da qui la riflessione di Federica Corrado che nella introduzione di Urbano montano – il libro che ha curato – richiama la necessità di leggere i cambiamenti in atto per costruire nuove interpretazioni territoriali. L’urbano allo stesso tempo si dilata e si contrae riconfigurando centralità e marginalità a geografie e geometrie variabili. Relativizzando distanze e perimetri l’urbano si fa così più territoriale. Il montano da margine, remoto nella percezione anche quando geograficamente prossimo, riconquista una nuova centralità sollecitata dalla consapevolezza sempre più diffusa che è qui che si giocheranno molte delle sfide della nostra contemporaneità. Da quella climatica a quella di dar vita a nuovi equilibri territoriali – fisici, sociali, culturali ed economici – sollecitati dalla stessa crisi pandemica. Una nuova centralità della montagna come indicato nel Manifesto di Camaldoli – certamente conseguente agli effetti particolarmente intensi della crisi climatica che vengono ad interessarla e le cui evidenze, non solo più scientifiche ma anche mediatiche, la fanno emergere all’attenzione pubblica – legata anche alla crescente domanda sociale di qualità ambientale, di salubrità, tranquillità, di luoghi dove il distanziamento fisico non è una misura coercitiva ma una condizione di normalità.
Al di là dell’eccessive enfasi e aspettative sui processi di dispersione abitativa i flussi turistici che nell’estate del 2020 hanno interessato le montagne italiane confermano l’affermarsi di una nuova sensibilità e considerazione, anche in relazione alla possibilità che il digitale potrebbe offrire di lavorare e mantenere “relazioni urbane”, pur non abitando continuativamente in aree intensamente urbanizzate e popolate. Urbano montano è quindi l’intersezione – dove l’urbano si fa più territoriale e la montagna si fa più urbana – che ci invita ad esplorare con nuove configurazioni e progetti di territori. Un programma di lavoro e di ricerca che oltre alle relazioni tra città e montagna, come oggi siamo portati a leggerle, si deve spingere a reinterpretare la stessa natura urbana di gran parte degli spazi montani italiani, caratterizzati dalla presenza di una fitta rete di città intermedie, di piccoli comuni, borghi e frazioni. Rivalutare e riattualizzare la prossimità fisica di realtà nella maggior parte raggiungibili in 15/30’, combinandola con quella digitale, è fondamentale per progettare alla scala locale adeguata sistemi di servizi territoriali in grado di favorire un neo-popolamento che eviti alla montagna il destino di un grande Truman show, frequentato per motivi di svago e di lavoro ma non abitato. Il rischio altrimenti è che la prossimità delle aree montane a quelle più densamente abitate e urbanizzate da oggettivo punto di forza del ragionamento urbano – montano possa trasformarsi nel suo contrario. L’incontro con l’urbano sarà tanto più fertile e vantaggioso se il montano riuscirà a dar vita a coalizioni progettuali (in grado di cogliere il nuovo quadro di risorse e opportunità messe a disposizione dall’Unione Europa) capaci di generare alleanze istituzionali e nuove geografie amministrative, collocando così identità e orgogli locali dentro inedite configurazioni – come propone Federica Corrado – di nuova unità territoriale, lasciando alle spalle definitivamente le retoriche dei paesi presepe, del risarcimento dovuto per un isolamento spesso coltivato come valore o rendita, delle suggestioni stereotipate dei paesaggi dell’elusività e la sopravvalutazione delle pur importanti e positive esperienze di resistenza e di resilienza che in questi anni il laboratorio montano è stato capace di produrre.
Fabio Renzi, Segretario generale di Symbola Fondazione per le Qualità Italiane