Il turismo in montagna cambia pelle?

15 dicembre 2022

La famosa immagine della “Donna In Verde” dell’illustratore Gino Boccasile, una bella donna in tuta da sci verde seduta su una pista innevata che guarda l’orizzonte con un paio di occhiali da sole, è stata il simbolo della nascita del comune di Sestriere, negli anni ’50, con l’imponente Torre di cemento e i primi impianti sciistici sullo sfondo. Ma è stata anche una delle illustrazioni simbolo, insieme a tante altre che in quegli anni spingevano le nascenti stazioni per lo sci di massa, che hanno caratterizzato una certa immagine predominante della montagna come loisir, luogo dello svago ad uso e consumo dei cittadini, in un’atmosfera di euforia per la crescita infinita che ha attraversato la seconda parte del Secolo breve.

Tralasciando le nicchie degli appassionati di alpinismo e i pochi cultori delle tradizioni e peculiarità delle terre alte, nella seconda metà del ‘900 l’opinione pubblica ha visto nella montagna poco più che un palcoscenico per un turismo di massa capace di trainare l’economia del territorio, legato prioritariamente al business dello sci da discesa invernale. Ma questo modello è traghettato nel Nuovo millennio fortemente acciaccato, tanto che nel report “Transizione nel turismo invernale” del 2017 la CIPRA, riferendosi al tema dello sci da discesa e del suo indotto, affermava che: “Il cambiamento del comportamento dei visitatori e il cambiamento climatico impongono nuove strategie e nuovi approcci. Si rende perciò̀ necessaria una trasformazione socioeconomica che tenga conto del passato, del presente e delle potenzialità̀ future del turismo”.

Negli stessi anni l’offerta di turismo dolce, di cui la nostra rivista si è lungamente occupata, vede uno sviluppo costante, in tutti i comuni delle Alpi e degli Appennini, comprese le montagne delle grandi isole, con numeri progressivamente crescenti, e comincia a fare capolino timidamente anche sulle pagine e sugli schermi dei mass media generalisti. L’Esperienza di Sweet Mountains, in cui l’Associazione Dislivelli si è spesa e continua a spendersi, ha concorso a promuovere una nuova immagine di turismo, con un approccio di curiosità e scoperta per i territori, capace di intercettare persone che, come sostiene Enrico Camanni, “non cercano la mera riproduzione di una visione di montagna data dalla pianura, ma ne scovano i tratti caratteristici e le mille sfaccettature; è un turismo fatto dai singoli e da gruppi di persone, non dalle grandi S.p.a. o multinazionali; predilige il contatto diretto con l’ospite e lo accoglie mostrandogli che non sempre vi è un camino tirolese ad aspettarlo, ma l’atmosfera appare non meno calorosa”. Una nuova forma di turismo capace di futuro che si affaccia sulla scena montana, ancora povera dal punto di vista economico ma con numeri in crescita, che si affianca ad un’altra paludata e ricca ma asfittica, con numeri in rapida diminuzione e destinata al declino.

Eppure l’immagine di una montagna sorretta dal turismo di massa dello sci da discesa persiste nell’opinione pubblica, tanto che durante il lockdown, con la chiusura forzata degli impianti da sci che ha messo in forte crisi i gestori, le manifestazioni dei lavoratori delle stazioni sciistiche nelle piazze sono state salutate come “la protesta della montagna”, e non di una parte di essa. Questo perché per la maggioranza degli italiani oggi, nonostante tutto, la montagna continua da essere lo sci da discesa, e si pensa che quello sia l’unico indotto capace di sostenere l’economia dei territori coinvolti, con buona pace degli imprenditori della neve che riescono così a catalizzare l’attenzione pressoché totale del sostegno pubblico al turismo in montagna. E questo nonostante i dati economici sembrino sconsigliarlo: Dislivelli ha analizzato i dati ISTAT sul fatturato perso nel settore dei servizi dalle imprese di 563 comuni delle Alpi di Nord Ovest (piemontesi e valdostane) nel periodo del primo lockdown per il Covid 19 (marzo–aprile 2020), da cui si evince che i comuni specializzati in turismo della neve hanno subito perdite assai maggiori di quelle degli altri comuni.

Una perdita media di 89,8 milioni di € dei comuni specializzati nel turismo contro 47,8 milioni di € degli altri dotati di multi-servizi (guarda lo studio citato). Tra i comuni del Piemonte e della Valle d’Aosta con maggiori perdite di fatturato ci sono Limone Piemonte e Macugnaga, Courmayeur, La Thuile, Valle d’Ayas, Valtournenche.

Mentre l’immaginario di un turismo in montagna legato per sempre allo sci da discesa persiste, e l’opinione pubblica fa fatica a elaborare il cambiamento negli stili di frequentazione della montagna da parte degli appassionati, l’indotto turistico si interroga su nuove sfide da affrontare su Alpi e Appennini. Perché se da una parte le mete del turismo dolce non sono e non saranno mai in grado di assorbire tutta la crescente richiesta di montagna, senza snaturarsi e perdere le loro peculiarità, dall’altra alcuni luoghi del turismo di massa non sono più in grado di tornare indietro e trasformarsi in mete del turismo dolce, perché dotatai di costruzioni fuori scala e di un paesaggio in parte o del tutto compromesso. Ma nulla vieta che questi luoghi ormai destinati ad accogliere un turismo di massa, che nei prossimi anni dovranno sforzarsi a pensare ad un’offerta turistica alternativa a quella della neve, possano convivere e collaborare con offerte di turismo dolce, anche nelle immediate vicinanze. E magari, come sta già succedendo, le due realtà potranno proporre offerte integrate: un giorno in funivia più apericena in terrazza e un altro a passeggio nel parco e pernottamento in rifugio.

Maurizio Dematteis

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