Dalla parte dei pastori

3 aprile 2012

Marzia Verona, una laurea in Scienze Forestali ed Ambientali, da anni si occupa di pastorizia e pastoralismo e anima un frequentatissimo blog: “Storie di pascolo vagante”. Ha iniziato i suoi studi sulla vegetazione dei pascoli, ma si è accorta ben presto che in alpeggio c’erano anche loro, i pastori. Ed è stata una scoperta.

«Durante un censimento degli alpeggi – racconta Marzia – ho iniziato a parlare con la gente, a far domande e ad ascoltare. Poco per volta ho cominciato a conoscere quel mondo, fatto di passione e determinazione. Nell’autunno 2004 ho iniziato a seguire i pastori vaganti. Ma la trasformazione “definitiva” è avvenuta quando sono passata dall’altra parte: quando un pastore mi ha chiesto di aiutarlo a ingessare la zampa di un agnello e un altro di stare in coda al gregge per far camminare gli agnelli. Un pastore, Fulvio, aveva detto ridendo che a bere direttamente dalla bottiglia insieme a loro avrei preso la “maladia d’le feje”! E in effetti il contagio, cioè la passione per le pecore e per la pastorizia, c’è proprio stato!». Oggi Marzia è coinvolta in prima persona nella movimentazione delle greggi, nella ricerca di pascoli, nella transumanza, nella sorveglianza, ma continua anche a seguire progetti scientifici che riguardano il tema. Un doppio sguardo, il suo, che consente un’analisi attenta dell’alpicoltura piemontese: «La maggiore difficoltà per chi alleva oggi è la burocrazia, che non significa soltanto estenuanti e spesso anacronistici iter tra uffici e documenti, ma anche esporsi economicamente per poi ricevere il finanziamento per la stalla nuova, per il caseificio, ecc. Per molti ciò comporta chiedere prestiti e mutui che minano una situazione economica già compromessa dallo scarso valore dei prodotti a fronte di un aumento sensibile delle spese (trasporti, foraggio per gli animali, affitto di strutture e pascoli…)».
Tra le difficoltà vissute dai pastori c’è anche quella dell’intolleranza che talvolta diventa un vero e proprio ostacolo allo svolgimento dell’attività: «C’è chi non vuole sentire le campane degli animali al pascolo, ma anche chi non tollera il passaggio di un gregge o di una mandria sulla strada. C’è chi si lamenta per la puzza e chi denuncia il pastore per il cane legato alla roulotte durante la notte…». Inoltre, chi pratica la pastorizia nomade trova sempre più ostacoli nel reperire i pascoli, sia per la cementificazione sia per l’aumento dei divieti di pascolo da parte dei comuni.
Per molti pastori anche il lupo è un problema con il quale fare i conti, anche dal punto di vista economico: «Attualmente – sottolinea Verona – vengono indennizzati i capi predati la cui morte sia imputata a un attacco da canide; a partire dalla prossima stagione saranno rimborsati anche i capi uccisi nella fuga. Esiste poi il “Premio di pascolo gestito”, che vorrebbe venire incontro ai disagi patiti dal pastore per tentare di difendersi dal lupo, ma chi lo riceve sulla base di un sistema a punteggio non viene comunque interamente ripagato delle spese sostenute per difendersi dalla possibilità di attacchi e dei danni indiretti subiti».
Quello del lupo è un problema che, se strumentalizzato, rischia di mettere in secondo piano il ruolo fondamentale di chi alleva e produce in montagna.
«Credo che il lupo sia un simbolo – sostiene Marzia – e pertanto affrontare questo argomento attira l’attenzione anche di moltissime persone che niente hanno a che fare (e che niente conoscono!) con il mondo della pastorizia. Purtroppo non serve cercare di spiegare le ragioni dei pastori, illustrare cosa significhi tentare di convivere con il lupo: ci si trova davanti a un muro di gomma, a persone che non vogliono ascoltare, che si rifiutano di capire il problema. Dire che si vorrebbe sparare al lupo è un tabù: è come ipotizzare di abolire la libertà, visto che il lupo simboleggia l’essenza del selvatico e dell’indomabile. In realtà, quello che si vorrebbe è dare la possibilità al pastore di difendere il proprio gregge. Penso che sarebbe il modo migliore anche per proteggere il lupo, perché inizierebbe ad associare al pastore e al gregge il pericolo; così manterrebbe le distanze e si rivolgerebbe maggiormente alla fauna selvatica, svolgendo una fondamentale opera di equilibrio naturale».
Valentina Porcellana

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