Capacities: il ruolo dei piccoli centri

15 maggio 2010

Il 14 aprile 2010 si è tenuto presso il Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano un incontro seminariale legato al progetto Interreg CAPACITIES. Gli spunti iniziali del dibattito coordinato da Arturo Lanzani, Paolo Pileri ed Elena Granata, hanno ripercorso la sfaccettata condizione delle Alpi d’Europa, come regione definita, per così dire, a più stadi: dalla regionalizzazione (in relazione alle politiche territoriali e le dinamiche demografiche) alla polarizzazione (per quanto attiene alle dinamiche urbane e insediative regionali e nazionali), dalla dipendenza esterna e dal declino di alcune aree verso la specializzazione di altre, spesso legata a una riconversione strutturale. L’assunto di base che regola il dibattito è incentrato sulla considerazione (Lanzani) che tanto meno forte è la polarizzazione a favore delle grandi città di pianura, tanto più forte è il ruolo dei piccoli e medi centri. Considerando che alcuni già hanno questa dimensione, come Klagenfurt e forse Aosta, potrebbero averlo altre realtà in futuro, come Sondrio, o Domodossola?
La riflessione della giornata parte da quattro ipotesi di evoluzione di scenario per le Alpi:

  1. urbanizzazione dei poli centrali, wilderness nel resto delle Alpi. Si mantengono in autonomia alcuni storici paesaggi culturali, che però avranno difficoltà di sostentamento
  2. sviluppo diversificato, sfruttamento delle capacità di sviluppo endogeno integrate con lo sviluppo esogeno: Alpi come “piattaforma”
  3. Alpi come campo privilegiato di una terza fase di innovazione, legata ai “territori lenti”
  4. scenario dei territori rurali che si federano: senza di questo i territori dipendenti dai grandi centri saranno sempre più schiavi della grandi città.

Le riflessioni della giornata sono state di varia natura. Da un lato sono emerse posizioni che mostrerebbero una maggior tendenza verso il primo e il secondo scenario, soprattutto in relazione all’andamento attuale delle economie forestali (Laura Secco, Università di Padova) o allo sviluppo delle economie delle energie rinnovabili (Daniele Vettorato, Università degli Studi di Trento). Importante è, come condizione per la creazione di un sistema anticiclico, una solida struttura comunitaria interna, sorretta da politiche locali e sovralocali adeguate: è questo il caso dimostrato dalla Magnifica Comunità della Val di Fiemme (rappresentata da Stefano Cattoi), forse un caso visibile di governance locale-regionale verso un reale sviluppo locale.
Su queste basi possono porsi ipotesi evolutive dei contesti locali, ipotizzando una mutazione complessiva della struttura economica e una rivisitazione complessiva dell’uso delle risorse locali, con inclusione nelle economie globali e cluster locali di innovazione, a partire dal sostegno di elementi chiave quali le infrastrutture del credito e dell’educazione (Giancarlo Corò, Università Cà Foscari di Venezia).
A fine giornata le conclusioni hanno mostrato come in realtà uno scenario adeguato sia rappresentato da una sintesi delle quattro ipotesi iniziali, sulla base delle condizioni geografiche, che legano ad esempio le aree interne delle Alpi maggiormente alla terza e quarta dimensione di sviluppo (Giuseppe Dematteis, Associazione Dislivelli). Se però le comunità locali si chiudono non vanno da nessuna parte. Ma come i piccoli centri possono essere inclusi in nuclei di attività innovative che durino? È una delle domande aperte, insieme alla vexata quaestio “a chi dire queste cose?”. Dipende. Nel frattempo meglio a tutti, probabilmente.
Alberto Di Gioia

Info: www.altaviadeimontiliguri.it

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