Bard: il racconto dei progettisti

30 settembre 2013

All’inizio il lavoro di elaborazione progettuale si è concentrato sul Museo delle Alpi, la cui apertura era legata alle olimpiadi di Torino 2006. Le Alpi erano la prima sfida di Bard in veste rinnovata, un “pianeta montagna” da ricostruire e far vivere all’interno degli angusti locali del forte, dove un tempo i soldati invecchiavano aspettando un nemico che non arrivava mai. Per due anni abbiamo collaborato intensamente tra esperti di montagna e architetti, allestitori e artisti, filmaker e musicisti, avvalendoci di un’équipe scientifica di alto livello e cercando di tradurre i concetti accademici in scenografie. L’impianto museografico è cresciuto a piccoli passi, coniugando informazioni ed emozioni, approfondendo le Alpi che stanno dietro la cartolina, oltre il fondale stereotipato che spesso allontana il pubblico dal mondo alpino anziché stimolarlo e avvicinarlo. È stato come passare dai contenuti di un saggio a quelli di un film, anche se al posto della pellicola c’erano trenta sale da riempire, e le sale facevano parte di una costruzione straordinariamente seducente ma di arduo accesso, e il film alla fine era il concentrato di almeno 10.000 anni di storia e mille chilometri di arco alpino raccontati dagli specialisti a chi specialista non è. Il progetto si è radicato sul delicato dosaggio di apparati divulgativi e invenzioni spettacolari, con l’uso di evolute tecnologie di ricostruzione virtuale affiancate a frequenti citazioni dei musei alpini tradizionali.

A giochi fatti si può dire che il Museo delle Alpi sia cresciuto attorno a un’idea: lasciare raccontare le montagne agli autori e ai testimoni. Non volevamo assolutamente che fosse uno di quei musei impersonali e senz’anima dove entri e non sai chi ti sta parlando, e infine esci senza aver capito chi – allo scopo di interpretare e raccontare un mondo – ha ragionato per te e prima di te. Il Museo delle Alpi è un luogo fortemente caratterizzato dalla presenza di chi l’ha fatto pezzo su pezzo in veste di regista, fotografo, compositore, scultore, artista, scrittore, scienziato, testimone, naturalista, tassidermista e quant’altro, comunque autore e interprete di almeno un frammento della trama complessiva. Non è un museo della nostalgia, l’agrodolce memoria di un mondo passato che non ritornerà, ma è l’interpretazione e il racconto delle Alpi contemporanee che, tra fascino e contraddizioni, svelano la storia e la tradizione alpine.
La seconda tappa del nostro “pianeta” sono state le Alpi dei Ragazzi, una specie di salita virtuale al Monte Bianco in cui, legati in cordata, si affronta la cima più alta d’Europa imparando e divertendosi. L’allestimento ha avuto molto successo tra le scuole, che raggiungono Bard per “scalare” il Bianco e magari visitare successivamente il Museo delle Alpi, per una conoscenza e una suggestione più ampie. Poi sono venute le Prigioni, dove personaggi chiave come Cavour o Napoleone permettono di conoscere e rivivere la lunga storia del Forte, antico maniero medievale distrutto dopo la discesa delle truppe napoleoniche del 1800 e ricostruito in soli otto anni dall’ingegnere militare Olivero. Restano da aprire al pubblico i restanti musei del Forte e delle Frontiere, ospitati nell’oscura e seducente Opera Ferdinando, che è stata oggetto di un lungo e accurato restauro conservativo. Forte e Frontiere completeranno un lavoro decennale di interpretazione culturale delle montagna.
Enrico Camanni

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