Architettura sostenibile in montagna

13 ottobre 2010

Quando si parla di sostenibilità ambientale di un edificio si intendono tendenzialmente tre cose. Per prima cosa il contenimento dei consumi energetici degli edifici (possiamo definire ciò come “approccio passivo”). Per seconda cosa la produzione di energia tramite dispositivi tecnologici contenuti nell’edificio stesso (“approccio attivo”). E infine l’impiego progettualmente corretto di materiali naturali – o per essere più precisi, organici – e riutilizzabili (ossia ciò che comunemente viene definito “bioedilizia”).
Cercando di non semplificare troppo, possiamo ad esempio affermare che in territorio alpino il tema del contenimento dei consumi energetici è riconducibile in primo luogo alla questione dell’isolamento termico dell’edificio: più un edificio è isolato, meno disperde calore. Ma non si tratta di un problema solamente “tecnico”, riducibile a una questione di materiali isolanti e di loro spessore. Sovente si dimentica che il tema del contenimento dei consumi energetici è anche un problema progettuale: è inutile spendere grandi quantità di soldi per l’isolamento se poi ad esempio la forma del volume dell’edificio è sbagliata. Lo stesso numero di metri quadri o metri cubi interni può essere contenuto in volumi dalla forma molto differente, in cui cambia radicalmente la quantità di superficie di muri perimetrali.
È la ragione per cui nelle basse valli gli edifici storici avevano delle maniche molto strette e tendevano ad ampliare le superfici esposte all’irraggiamento solare, mentre salendo di quota tendevano ad assumere forme più compatte diminuendo la quantità di murature perimetrali: per disperdere meno il calore.
Isolare fortemente la casa rappresenta quindi la prima azione da fare per un’architettura sostenibile in territorio alpino, prestando però anche attenzione alla sua forma e al modo in cui vengono trattate le aperture.
Passiamo al secondo campo, quello della produzione “attiva” di energia utilizzando fonti rinnovabili come il calore del sole o del sottosuolo. Anche in questo caso capita sovente di cogliere parecchia confusione: molte persone ad esempio confondono i collettori solari (che producono acqua calda) con i pannelli fotovoltaici (che invece producono energia elettrica), e che fanno riferimento a impieghi e soluzioni tecnologiche radicalmente diverse. E anche rispetto alla geotermia oggi così di moda bisogna fare attenzione, sia per i costi molto alti in fase di realizzazione, sia perché ogni zona geografica presenta opportunità molto differenti.
È necessario dunque stimare il bilancio energetico complessivo dell’edificio, valutando con attenzione gli esiti di un approccio “passivo”, “attivo” oppure misto al variare del luogo e delle specifiche esigenze.
Molte volte, soprattutto in montagna, è magari meglio puntare su un ottimo isolamento termico, piuttosto che su tecnologie attive che magari a causa della neve, dello scarso irraggiamento nel periodo invernale, rischiano di essere sottoutilizzate.
Infine, va detto che l’impiego di materiali naturali e organici non determina automaticamente che la costruzione sia ecologica. Un fatto che ad esempio alcune volte viene sottovalutato è la provenienza geografica dei materiali. Un materiale ecologico può essere paradossalmente poco “sostenibile” perché farlo arrivare fino a noi è costato molto in termini di energia, di consumo di risorse e di anidride carbonica emessa.
Ma al di là di questi tre grandi campi, ce n’è un altro che quasi sempre viene poco considerato. Si tratta – come ci insegnano le borgate storiche e tradizionali – della corretta localizzazione e conformazione degli edifici e degli insediamenti in rapporto all’irraggiamento solare, ai venti prevalenti, ecc.
È inutile avere una casa attrezzata con pannelli fotovoltaici e mille altri dispositivi tecnologici se poi il rapporto con il sito, con il luogo è sbagliato.
Per finire questa veloce carrellata, parliamo ancora di un tema che torna sempre più spesso nei dibattiti di abitanti e amministratori locali: come conciliare la sostenibilità ambientale degli edifici con la qualità architettonica e paesaggistica di centri storici e borgate? Come armonizzare tetti in lose e pannelli fotovoltaici? Anche qui purtroppo non ci sono ricette facili o soluzioni preconfezionate, e ogni caso deve essere affrontato puntualmente. Indubbiamente non è facile (per rimanere al caso che semina più dubbi e discussioni) conciliare tetti in pietra e pannelli. O un edificio viene progettato ex novo, già ragionando sul rapporto tra copertura e pannelli, o tutto diventa molto difficile. E’ stata anche messa in commercio una sorta di “losa fotovoltaica” (ossia un pannello a forma di losa), ma pare che abbia molti problemi.
Anche qui vale però la pena di ripetere quanto è stato detto all’inizio: prima di impuntarsi sull’uso del fotovoltaico (o di qualsiasi altra tecnologia) è necessaria una valutazione scientifica complessiva dei fabbisogni e dei consumi energetici. Magari invece di perdere tempo e risorse per inserire un collettore solare su una copertura tradizionale, si può scoprire che è più efficace un bel “cappotto interno” (ossia un isolamento termico sulle pareti interne dell’edificio).
Una cosa è certa: attraverso questo tema passa non solo la possibilità di contenere sprechi e consumi, ma anche la qualificazione stessa degli edifici e più in generale del patrimonio architettonico e paesaggistico.
Antonio De Rossi

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