Appennino campano
Nell’immaginario comune, durante tutto il 900, il nord del nostro paese, visto da quel sud interiore di piccoli paesi “perennemente altrove” con una forte e costante vocazione migratoria, è apparso sempre come un luogo distante e di grande ricchezza, un’America meno lontana, una quasi Svizzera, un posto come la Germania ma dove parlavano italiano.
Negli anni ’50, ’60 e ’70 quel miraggio era concreto quando per le feste gli emigrati tornavano nei paesini di origine provenienti dalle fabbriche del nord, da quei condomini con l’acqua calda e i primi elettrodomestici. Arrivavano con auto grandi e con un linguaggio accentuato che mostrava sicurezza, successo e superiorità. Sembravano addirittura più alti, migliorati nella loro vita, fortunati in qualche modo. Al bar raccontavano storie a chi, intanto, non aveva mai visto nulla ma solo immaginato e non poteva fare altro che ascoltare restando muto, non avendo niente da aggiungere ma solo rancore da buttare giù.
Quelli che arrivavano dal nord apparivano irraggiungibili e vincenti, un modello da seguire e sognare ma non sempre realizzabile. Quella dimensione generava frustrazione. Eravamo ancora molto lontani dalle attuali tendenze, spesso ipocrite, che fanno della “resilienza”, della “restanza”, dei “ritornanti” dei modelli di fascinazione culturale tutt’altro che reali, appaganti o praticabili.
Vivere al sud, nelle aree marginali dell’Appennino, allora come oggi, non è affatto piacevole.
Poi però è successo qualcosa, l’innesco di un cambiamento epocale, negli anni ’80, con le TV private, la distanza da quel nord, nella percezione della diversità si è ridotta. Il modello culturale, il linguaggio o lo stile di consumo, potevano essere osservati nei film di nuova produzione o nei tanti programmi di intrattenimento.
A colori, nel televisore di casa, c’erano quei personaggi con quell’accento che pochi anni prima si poteva sentire solo dai paesani che tornavano per le feste. Di colpo il nord era lì, in ogni casa. Come un nuovo punto di riferimento, familiare, privato, divertente, accessibile, attraente.
Drive In aveva un ritmo serrato, battute goliardiche e balletti sensuali erano imperdibili per un’intera generazione di persone che inconsapevolmente stava trasformando la propria identità senza accorgersene, diventando ancora più desiderosi di vivere secondo un prototipo distante da quello doloroso che avevano conosciuto fino a quel momento.
La TV nazionale cominciava a essere noiosa con la sua pedante proposta di intrattenimento, meglio lo svago, meglio le pubblicità di prodotti inutili ma simbolici da procurarsi anche con una semplice telefonata.
Il sogno diventava più vicino e realizzabile anche senza dover partire. Lì, in quel contesto di forte egemonia culturale, si è consolidata una considerazione del sud come un “non ancora nord”. Franco Cassano definiva questa condizione (ovviamente con origini anche più profonde) come “una patologia infinita dalla quale guarire per diventare finalmente civili”.
Nel 1983 i fratelli Vanzina con il film “Vacanze di Natale” rappresentavano lo stereotipo borghese che correva a vivere avventure a Cortina. Un uso della montagna come luogo di intrattenimento e consumo dove il bianco della neve accecava un’intera generazione di aspiranti vacanzieri alla ricerca della propria storia da raccontare. Nasceva di conseguenza un nuovo status di “uso” della montagna anche nell’Appennino meridionale.
L’impianto di Laceno (1050 m/slm) a Bagnoli Irpino, in provincia di Avellino (località nota come la “Cortina del Sud”) consolidava le proprie strutture costruite negli anni ‘50/’60 incrementando i suoi frequentatori: 18km di piste che nel 2003 si arricchiscono di impianti di innevamento artificiale e nel 2017, dopo un contenzioso lungo quasi 20 anni, chiudono a tempo indeterminato senza nemmeno avere l’alibi di soffrire il cambiamento climatico. Sempre in Campania, negli anni ’80, a Bocca della Selva, nel comune di Cusano Mutri, si avviava un processo di nuova costruzione di condomini e strutture intorno a una pista da sci di 3 km. La borghesia napoletana aveva le sue montagne attrezzate senza dover arrivare a Roccaraso (in Abbruzzo) o a Campitello Matese (in Molise). A Bocca della Selva un’anomalia politico-amministrativa vede (ancora oggi) la sola superficie della pista appartenere a un comune diverso, Piedimonte Matese, in provincia di Caserta. La difficoltà nel programmare un’azione congiunta tra due comuni di due province diverse ha segnato il fallimento definitivo nel 2011 con la chiusura degli impianti e la fine di un modello oggi totalmente abbandonato.
L’ultimo caldo inverno ha visto una sola ondata di neve a Bocca della Selva (1350 m/slm). Gli anziani ricordano le neviere che fino agli anni ‘50/’60 consentivano un mercato del ghiaccio anche oltre la provincia. Oggi la neve è davvero un’occasione e le case restano abbandonate o vendute a poche migliaia di euro.
Su questa parte di appennino un turismo della neve non c’è stato mai, nemmeno nei ricordi. Eppure ancora si parla di “sviluppo”. La Regione Campania, dopo aver “risolto i problemi” di Laceno con una gara di 12 milioni di euro (aprile 2022) per il rilancio degli impianti, oggi, immagina una nuova opportunità anche per Bocca della Selva.
Si tratta di un’occasione unica per progettare la rigenerazione di quelle località. Le indicazioni dell’iniziativa europea del New European Bauhaus sono chiare: tutte le azioni sostenute con i fondi europei, d’ora in poi, devono andare nella direzione della valorizzazione della bellezza, della sostenibilità e dell’inclusione. Valori e principi comuni e condivisibili soprattutto perché finalmente orientati a non trascurare i bisogni degli attori locali.
Nel vicino comune di Pietraroja, noto per l’imponente giacimento fossilifero dove fu ritrovato Scipionix Samniticus, una piccola comunità di allevatori si è riunita grazie a un progetto di cooperazione e sta affrontando insieme le crisi degli ultimi anni. Il progetto rafforza, quanto già avviato dai programmi di sviluppo locale dal GAL Titerno, ma soprattutto dimostra come la strategia d’investire in azioni mirate e realizzate, con il coinvolgimento degli operatori locali e con la comunità, rappresenti una vera opportunità anche di natura economica che si traduce nella possibilità di un territorio riconnesso in cui “ricostruire i saperi contestuali”.
Si tratta di un’iniziativa a base culturale che considera il benessere delle persone e il valore della relazione. È un modo per creare un immaginario nuovo, fondato sul principio di responsabilità ambientale nei confronti di una montagna che assume un valore ben diverso dai modelli precedenti. Le tipicità, quali catalizzatori di comunicazione dei valori forti del territorio e dei suoi produttori, rappresentano un asset strategico per l’intero sistema locale, in termini di promozione della cultura comunitaria nel senso di creazione di nuove filiere e di valorizzazione di quelle esistenti attraverso l’aggregazione della domanda e la costruzione di nuove alleanze. Oggi serve ri-orientare sia le risorse materiali che quelle umane: patrimonio di cui Pietraroja (ad esempio) può disporre sia per la presenza di giovani, che scelgono d’investire le loro conoscenze per ridisegnare il mondo agricolo e rurale, sia per l’attivismo delle famiglie che storicamente custodiscono il territorio da cui traggono il reddito e il senso.
Il modello delle Alpi inseguito per quasi 40 anni è finalmente superato. La piena consapevolezza della propria appartenenza a un contesto che non deve imitare o scalare modelli possibili in altri luoghi rappresenta una fase di riscatto da quella sudditanza a cui per anni si erano abituati quei pochi abitanti rimasti. La nuova emancipazione culturale restituisce dignità e motivazione anche nel diversificare l’offerta non più limitata alle tipicità prodotte ma volta all’accoglienza del turista in cerca di relazioni e conoscenza.
Bisogna essere nuovi interpreti dei luoghi e ripensare stili di vita e di lavoro per contrastare lo spopolamento delle aree interne che, solo attraverso una vera rigenerazione della visione e una riscoperta dei significati di cura e rinascita, possono avere un futuro.
Guido Lavorgna