All’altezza dello sguardo

1 giugno 2017

In un documentario ricco di spunti e di suggestioni, Franco e Giulio Fontana raccontano la vicenda vissuta nell’ultimo anno dalla città di Como, punto di passaggio transfrontaliero per la rotta del Brennero, e dai suoi migranti. Il confine alpino ammorbidito di senso dai passaggi per far benzina o la spesa dove conviene, ritorna ad avere un ruolo che solo le generazioni più anziane ricordano, ai tempi del fascismo e della guerra. I fatti sono noti, la città di Como diventata in pochi giorni un punto in cui tentare il superamento dei confini transfrontalieri, ma dopo alcuni successi iniziali di piccoli numeri di persone le frontiere si chiudono e ha inizio una grande vicenda umana documentata con passione e coinvolgimento in modo molto diretto.

La città di Como, punto di passaggio per la rotta del Brennero per i migranti che intendono spostarsi nel Nord Europa, è stata inserita più volte nei palinsesti mediatici internazionali. Dopo alcuni successi iniziali del passaggio di frontiera i numeri sono aumentati, con chi cercava di nascondersi nei treni, o di percorrere le aree di montagna che separano la città di Como dalla Svizzera. Ma dopo questa breve fase la frontiera elvetica si è sigillata in terra e in cielo, con l’uso di droni a infrarossi per il monitoraggio dei corpi caldi sul suolo. Cosi una storia di passaggi diventa una storia di città, tra vecchi cittadini che restano e nuovi cittadini, anche se per un periodo temporaneo, che diventano una parte viva del vissuto locale, non tanto per il loro passaggio documentabile, ma per la relazione diretta con le straordinarie storie di accoglienza, disponibilità e apertura sociale e culturale vissuta da tutti.
Il film-documentario “All’altezza dello sguardo”, nato dalla richiesta di don Giusto della Valle, parroco di Rebbio, alla periferia di Como e figura centrale all’interno della città per il percorso di accoglienza intrapreso, vuole raccontare questa storia, al di là dei meri fatti di cronaca del George Clooney’s Lake, come conosciuto su scala mondiale dalla cronaca oltreoceano. Una storia fatta di racconti personali e che riporta le tematiche mondiali, le chiusure delle frontiere, i muri fisici e psicologici nei confronti delle migrazioni, ad una scala comprensibile a tutti, in quanto vera, toccabile e in cui ciascuno di noi può essere coinvolto.
La vicenda umana diventa però anche una storia territoriale incentrata sul significato della frontiera, topos quanto mai attualmente alpino, come limite invalicabile e muro (significato più recente e generato dall’esterno) o punto di accoglienza e di confronto tra genti (significato più antico e generato dall’interno), non solo genti nere – genti bianche, ma anche comaschi, svizzeri accorsi nel fine settimana “perché c’era bisogno” oltre al melting pot internazionale dei media. «Negli ultimi trent’anni – ci ricorda l’autore – le società occidentali hanno invertito quel corso che, grazie anche a lunghe lotte collettive, le aveva portate ad essere sempre più inclusive, con aspetti emancipatori e sistemi crescenti di Welfare. La società e l’economia hanno invece puntato su una dimensione individualistica, con una forte polarizzazione delle ricchezze e del potere. [...] Il ritorno alle chiusure e ai nazionalismi sembra la risposta più immediata e gli egoismi vengono a trovare giustificazione a paure a cui nessuno sembra dare risposte». Come per molte altre tematiche anche dal punto di vista della sperimentazione di queste due oppose interpretazioni le montagne diventano territorio di sperimentazione, un laboratorio in cui sperimentare ed accudire nuove forme di benessere sociale e di vita rispetto agli altri contesti.
«Questo filmato – ci dice nuovamente l’autore – richiama fin dal titolo l’incrocio degli sguardi che non va mai perso. E’ punto di partenza, ma anche punto d’arrivo ed è il senso profondo di una politica adeguata al mondo contemporaneo che non può limitarsi a ideali astratti. Cerca di mostrarlo con le espressioni e le parole dirette delle singole testimonianze (non ci sono voci fuori campo che spiegano). La città ha saputo attutire l’urto di questi accresciuti passaggi, molte persone si sono date da fare, con empatia. Un aspetto umano ma poco significativo in termini generali e politici affermano alcuni, o pre-politico. Un aspetto che la politica può ignorare o vedere negativamente perché parlare di migranti in tempi perennemente pre-elettorali è tema scottante. Todorov ci ha insegnato a non dimenticare le responsabilità dell’individuo nella storia e a considerare sempre l’altro nella sua realtà e diversità, senza rifiutarlo come estraneo o assimilarlo in modo generico. Senza dimenticare che siamo sempre anche sotto lo sguardo dell’altro. Noi abbiamo bisogno di essere riconosciuti dall’altro per esistere. Il bambino ha bisogno dello sguardo dei suoi genitori, il professore esiste grazie ai suoi allievi, gli amici si confrontano gli uni agli altri. Sia che cerchiamo di essere colti come loro simili, sia come differenti da loro, gli altri ci confermano la nostra esistenza. (…) Ogni coesistenza è un riconoscimento. (…) Io posso allora cercare di captare lo sguardo degli altri attraverso diverse sfaccettature del mio essere, il mio fisico, la mia intelligenza, la mia voce o il mio silenzio.» (T. Todorov, “Sous le regard des autres”, Sciences Humaines, 2/10(2002).
Lasciamo quindi a voi la visione di “All’altezza dello sguardo”, testimonianza diretta degli autori vivamente consigliata anche come possibile materiale di supporto didattico nelle scuole.
Alberto Di Gioia

Il video: https://goo.gl/0HXYHB
Il promo: https://goo.gl/cV8u9m

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